© Albert Mächler
Gli ungulati
Per gli ungulati (capriolo, cervo, camoscio e stambecco) il bilancio energetico durante l’inverno è spesso negativo, come appare da diverse ricerche condotte sull’andamento dei pesi nel corso dell’anno: le femmine di stambecco nel corso dell’inverno perdono fino al 30% del loro peso corporeo, mentre i maschi circa il 20%, mentre le marmotte durante il lungo letargo invernale perdono tra il 30 e il 50% del loro peso. Con un nutrimento qualitativamente scadente, un bilancio energetico positivo non è spesso possibile. In inverno gli ungulati sopperiscono a questa situazione con la riduzione significativa dell’attività: essi fanno ciò cercando quei luoghi in cui la vegetazione è accessibile con il minimo sforzo (Fig. 1). Tale ricerca viene determinata in primo luogo dalla quantità di neve presente sul terreno: uno scarso innevamento permette loro di liberare l’alimento con le zampe, inoltre la loro mobilità non viene impedita del tutto. Il nutrimento raggiungibile in questi luoghi non è caratterizzato tanto da una particolare qualità, è piuttosto la quantità a disposizione che rende attrattive queste aree. Inoltre la breve durata delle giornate non offre molte opportunità per nutrirsi (Fig. 2).
Uno dei più importanti e significativi adattamenti dei ruminanti selvatici alle difficili condizioni invernali è che durante l’inverno non solo il fabbisogno energetico viene ridotto, ma anche l’assunzione di nutrimento: ciò comporta che pure la capacità del rumine venga notevolmente diminuita durante la cattiva stagione (questo cambiamento è determinato da un orologio interno). Tale adattamento diventa problematico se un animale viene spesso disturbato e, a causa dell’aumento del dispendio energetico, aumenta anche il fabbisogno alimentare. Anche se fosse disponibile una quantità maggiore di cibo, essa non potrebbe essere digerita, perché l’animale non è in grado di modificare il funzionamento del suo sistema digerente.
Fig. 1 – In inverno l’offerta alimentare a disposizione degli ungulati, qui un branco di camosci, è particolarmente povera: essa è costituita per lo più dalla vegetazione estiva ormai secca, che gli animali trovano sulle creste battute dal vento o che liberano con le zampe (foto Luca Rotelli).
Fig. 2 – La scelta, da parte dei camosci, dei luoghi dove alimentarsi, viene determinata in primo luogo dalla quantità di neve presente sul terreno: uno scarso innevamento permette loro di liberare il nutrimento con le zampe, inoltre la mobilità non viene impedita del tutto (foto Albert Mächler).
Come sverna il cervo
Fig. 3 – Un branco di cervi a riposo in inverno. Per sopravvivere alla scarsità del cibo a disposizione e alla sua scadente qualità, oltre che alle basse temperature, la fauna in inverno riduce al minimo il suo metabolismo energetico. Per raggiugere questo obiettivo ha bisogno che le venga risparmiata qualsiasi forma di disturbo (foto archivio www.ooeljv.at).
Tra le strategie più sorprendenti per affrontare l’inverno, vi sono quelle messe in atto dal cervo e probabilmente anche dalle altre specie di ungulati che vivono in montagna, come è emerso da uno studio condotto dall’Istituto di ricerca della Fauna selvatica ed Ecologia dell’Università di Vienna del Professor Arnold. Grazie al fatto di aver munito con particolari trasmittenti miniaturizzate alcuni esemplari di cervo, è stato possibile registrare la frequenza cardiaca, la temperatura corporea e il ritmo d’attività. Ciò ha permesso di comprendere che in inverno i cervi, per sopravvivere alla scarsità del cibo a disposizione, alla sua scadente qualità e alle basse temperature, riducono al minimo il loro metabolismo energetico (Fig. 3).
Durante l’inverno l’attività degli animali si limita quasi esclusivamente alla ricerca di nutrimento, per la quale viene utilizzato più tempo che in estate (Fig. 4 d). Durante il periodo che va da dicembre ad aprile i cervi sono inoltre in grado di ridurre la frequenza cardiaca (Fig. 4 a) e di abbassare la temperatura corporea (Fig. 4 b), quest’ultima almeno per alcune ore al giorno (Fig. 4 c), grazie ad una riduzione dell’irrorazione sanguigna degli arti e delle parti periferiche del corpo, ciò che fa loro risparmiare notevoli quantità di energia. E’ come se gli animali si trovassero in uno stato di torpore. Tuttavia questa strategia può essere messa in atto soltanto quando si sentono al sicuro: infatti in questo stato di torpidezza la loro capacità di fuga in seguito ad un disturbo è alquanto ridotta. Per questo motivo durante l’inverno, gli effetti di ogni azione di disturbo possono avere conseguenze negative sul bilancio energetico del cervo, così come degli altri ungulati.
Di fatto i cervi in inverno, se non sono disturbati, hanno bisogno di meno energia che in estate, nonostante il freddo e condizioni meteo sfavorevoli: ciò è reso possibile dal fatto che i cervi d’inverno vanno incontro ad una forma particolare di letargo. Questa strategia viene messa in atto soprattutto quando si manifestano condizioni meteorologiche sfavorevoli insieme con l’esaurimento delle riserve di grasso, come si evidenzia dalla variazione annuale della temperatura misurata sotto pelle (Fig. 4 b e c). La differenza tra le modalità con cui il cervo trascorre l’inverno e il vero e proprio letargo è costituita dal fatto che questo erbivoro rimane in una situazione di risparmio energetico per “appena” 8-9 ore al giorno e non per periodi lunghi di tempo.
Fig. 4 – I dati pubblicati dal gruppo dell’Istituto di ricerca della Fauna selvatica ed Ecologia dell’Università di Vienna del Professor Arnold sono illuminanti nello spiegare gli straordinari adattamenti messi in atto dal cervo per fronteggiare i rigori del periodo invernale: in questo periodo l’attività degli animali si limita quasi esclusivamente alla ricerca di nutrimento, per la quale viene utilizzato più tempo che in estate (d). Durante il periodo che va da dicembre ad aprile i cervi sono inoltre in grado di ridurre la frequenza cardiaca (a) e di abbassare la temperatura corporea (b), quest’ultima almeno per alcune ore al giorno (c), grazie ad una riduzione dell’irrorazione sanguigna degli arti e delle parti periferiche del corpo: ciò fa risparmiare loro notevoli quantità di energia. In azzurro è indicato il periodo invernale (da Arnold, 2003).
I contenuti presenti in “Come sverna il cervo” sono tratti dall’articolo di Walter Arnold “Der verborgene Winterschlaf des Rothirsches” (2003) della serie Wildbiologie.
Come sverna lo stambecco
Le strategie messe in atto dallo stambecco per superare l’inverno, sono state studiate da Claudio Signer dell’Istituto di ricerca della Fauna selvatica ed Ecologia dell’Università di Vienna. I risultati di questa ricerca, condotta in Canton Grigioni, sono sorprendenti. Le informazioni qui di seguito riportate derivano direttamente dal suo studio che ho semplicemente tradotto, riassumendolo un po’. In inverno lo stambecco riesce a superare i problemi dell’aumento del fabbisogno energetico e della scarsità di nutrimento, grazie ai seguenti due adattamenti: da una parte gli animali accumulano abbondanti riserve di grasso nel corso dell’estate, mentre dall’altra vi è il passaggio dal leggero mantello estivo a quello folto e altamente isolante del periodo invernale (Fig. 5).
Fig. 5 – In inverno lo stambecco riesce a superare i problemi delle basse temperature e della scarsità di nutrimento, grazie ai seguenti due adattamenti: da una parte gli animali accumulano abbondanti riserve di grasso nel corso dell’estate, mentre dall’altra vi è il passaggio dal leggero mantello estivo a quello folto, scuro e altamente isolante della stagione invernale (foto schutterstock.com).
Dal momento che il mantello invernale è decisamente più scuro di quello estivo, esso è in grado di assorbire particolarmente bene la radiazione termica proveniente dal sole. Inoltre specifici adattamenti morfologici riducono la perdita di calore corporeo: attraverso una struttura corporea relativamente grossa e tozza e gli arti piuttosto corti, la perdita di calore corporeo viene notevolmente ridotta. Vi sono poi anche adattamenti comportamentali, come per esempio la migrazione stagionale che permette agli animali di svernare in condizioni climatiche più favorevoli, andando alla ricerca di versanti particolarmente ripidi ed esposti a sud, caratterizzati da molte ore di sole e dove normalmente rimane solo poca neve (Fig. 6).
Fig. 6 – Lo stambecco, qui una femmina, compie migrazioni stagionali, con le quali raggiunge le aree di svernamento, caratterizzate da versanti particolarmente ripidi ed esposti a sud, con molte ore di sole e dove normalmente rimane solo poca neve, peculiarità che permettono agli animali di svernare in condizioni climatiche più favorevoli (foto Albert Mächler).
Da tempo si sa che gli ungulati, durante il periodo invernale, possiedono la capacità di ridurre il loro metabolismo e quindi di abbassare i costi energetici: nello stambecco la frequenza cardiaca passa dai circa 100 battiti al minuto durante il mese di giugno, ad appena 40 battiti al minuto in febbraio, con una riduzione di ben il 60%. Contemporaneamente alla frequenza cardiaca, vengono ridotti, anche se in misura inferiore, sia la temperatura corporea sia il movimento.
Gli stambecchi, durante l’inverno, non cercano di mantenere lo stesso elevato livello di temperatura, attraverso la produzione endogena di calore e l’intensificata ricerca di nutrimento, come avviene in estate: essi riducono invece il loro metabolismo a un minimo, lasciano scendere la loro temperatura corporea e limitano il movimento. Questa strategia riduce il fabbisogno alimentare in modo considerevole e sembra essere sufficiente per superare l’inverno con un po’ di erba secca povera di elementi nutritivi e con le riserve di grasso accumulate durante l’estate. Allo stesso modo diventa chiaro perché la frequenza cardiaca e con essa il tasso metabolico durante l’estate devono essere innalzati: soltanto grazie ad un metabolismo elevato è possibile accumulare velocemente riserve di grasso sufficienti.
In inverno la riduzione della frequenza cardiaca negli stambecchi è molto più forte di quella che potrebbe essere spiegata attraverso l’abbassamento della temperatura corporea, della diminuzione di movimento e dei fattori esterni. L’entità di questi cambiamenti varia anche nel corso della giornata: i valori massimi sono raggiunti nel pomeriggio o alla sera, mentre quelli minimi alla fine della notte e nelle prime ore della mattina. Questo significa che gli animali durante le fredde ore notturne sono in grado di ridurre ulteriormente il loro metabolismo e, con esso, i costi energetici. Gli stambecchi durante le fredde notti invernali si raffreddano ulteriormente: la temperatura corporea infatti è in media circa 1,2 °C più bassa rispetto ai valori registrati nel pomeriggio. Ma come fanno gli animali ogni mattina a riscaldare i loro corpi raffreddati? Al risveglio delle fredde mattine invernali il riscaldamento a costi energetici contenuti è possibile grazie al fatto che gli stambecchi sono in grado di utilizzare in modo efficiente una fonte di calore esterna. Prima dell’alba, a temperature ancora sotto gli zero gradi, gli animali dapprima si muovono a rilento. Dopo il sorgere del sole però la temperatura corporea sale rapidamente, più velocemente che in estate, e soprattutto in modo più evidente di quello che la frequenza cardiaca lascerebbe supporre. Ciò è dovuto al fatto che il rapido innalzamento della temperatura non è dovuto all’aumento del metabolismo, ma piuttosto a quello della temperatura dell’ambiente circostante. Gli stambecchi poco prima del sorgere del sole, ancora un po’ letargici per il raffreddamento a cui sono andati incontro nelle ore notturne, si alzano dai luoghi dove hanno trascorso la notte per andare alla ricerca di versanti esposti al sole che si trovano nelle vicinanze. Qui si riscaldano grazie all’arrivo dei primi raggi di sole e con l’aumento della temperatura corporea aumenta gradualmente anche il movimento degli animali. Questo riscaldamento passivo ad opera della radiazione solare non ha praticamente bisogno d’energia e non necessita di un innalzamento del metabolismo.
La riduzione del metabolismo è un meccanismo essenziale per la sopravvivenza degli stambecchi in alta montagna. Una riduzione del metabolismo, e con questo dei costi energetici, permette un utilizzo efficiente delle riserve di grasso e rende possibile il superamento degli inverni duri e poveri di nutrimento. La forte riduzione notturna della temperatura corporea e il conseguente riscaldamento passivo ad opera del sole contribuiscono ad una ulteriore riduzione dei costi energetici. Tuttavia queste strategie portano anche alcuni svantaggi con sé: il raffreddamento del corpo e in particolare degli arti e della loro muscolatura riduce notevolmente la capacità di movimento degli animali, riducendo in questo modo anche la capacità di fuga. Per questo motivo gli stambecchi durante il riposo scelgono preferibilmente versanti ripidi e rocciosi: qui sono al sicuro dai predatori e possono cadere nel loro torpore senza sentirsi in pericolo.
Decisamente più critici invece sono i disturbi continui e imprevedibili ad opera dell’uomo. A parte il fatto che quelli improvvisi possono provocare fughe violente che richiedono molta energia, quando gli animali vengono disturbati troppo spesso, evitano di ridurre la loro temperatura corporea durante la notte a favore della capacità di fuga: questo però implica costi energetici maggiori perché le loro strategie non possono essere messe in atto efficacemente. In aree ad alta frequentazione turistica l’istituzione delle zone di tranquillità rappresenta quindi un contributo importante alla conservazione dello stambecco, così come di altre specie. Incanalando e limitando la presenza umana negli ambienti naturali, viene garantita agli animali la tranquillità necessaria per la loro sopravvivenza.
I contenuti presenti in “Come sverna lo stambecco” sono tratti dall’articolo di Claudio Signer “Zur Überwinterungsstrategie des Alpensteinbocks” (2013) della serie Wildbiologie.
© Luca Rotelli