© Albert Mächler

ASPETTI FAUNISTICI

Che cos’è un disturbo e sue conseguenze

Generalmente si definisce disturbo qualsiasi cambiamento della condizione momentanea di un animale, come risultato di uno stimolo esterno imprevisto ed imprevedibile. Nel caso di animali a vita libera possiamo parlare di disturbo ogniqualvolta si manifesta uno stimolo che li costringe a modificare il loro comportamento e/o il luogo scelto (Fig. 1 e 2). 

Fig. 1 – Camosci a riposo durante una nevicata. La fauna in inverno trascorre la maggior parte del tempo in uno stato di inattività, al fine di ridurre il fabbisogno energetico necessario. Qualsiasi alterazione di questo stato che non avviene per precisa scelta degli individui, può essere considerato un disturbo (foto Albert Mächler).

Fig. 2 – Camosci in fuga in seguito all’apparizione di un disturbo. Le conseguenze di uno spostamento effettuato correndo, sono innumerevoli: muoversi nella neve costa molta energia, ed il dispendio energetico aumenta notevolmente con l’aumentare dell’altezza del manto nevoso. Durante la fuga i camosci sono sottoposti ad una situazione di stress, e la loro frequenza cardiaca aumenta considerevolmente. In questo stato essi non sono neppure in grado di assumere nutrimento per riacquistare le energie perdute. Il risultato di continue fughe può essere letale per gli animali coinvolti (foto Albert Mächler).

Questa definizione è comunque molto generale, in quanto comprende infatti, oltre alle attività umane, anche fattori naturali, come predatori, conspecifici, agenti atmosferici ed altre condizioni ambientali (tempeste di vento, incendi, alluvioni, ecc.). Inoltre essa non comprende le ulteriori conseguenze associate ad un disturbo ed in particolar modo l’importanza del cambiamento che l’animale è stato costretto ad effettuare. In relazione all’impatto causato dalle attività umane sulla fauna viene usata principalmente la seguente definizione:

 

un disturbo è un qualsiasi stimolo esterno in grado di determinare un cambiamento di comportamento, attività o luogo da parte di un animale, che ha conseguenze negative per esso.

 

Come disturbo quindi non viene identificato solamente lo stimolo scatenante, ma la definizione comprende l’intero processo che parte dallo stimolo stesso, fino alle conseguenze per il singolo individuo o per la popolazione (per esempio: l’aumento del fabbisogno energetico per la fuga, il peggioramento della condizione dell’individuo, la diminuzione del successo riproduttivo, la riduzione della popolazione).

 

Nell’immediato, il mutamento improvviso del comportamento di un individuo è la conseguenza più evidente di uno stimolo. Si manifesta nel giro di pochi secondi o di qualche minuto ed è spesso facilmente osservabile e riconoscibile anche da un profano. In un primo momento l’animale interrompe quello che sta facendo: come reazione ad una persona che si avvicina, l’animale si alza, se coricato, o rimane in piedi, si assicura ed osserva i dintorni. Nel caso in cui la persona continui ad avvicinarsi o comunque nel caso che essa venga considerata un possibile pericolo, l’animale abbandona il luogo in cui si trovava. A volte ciò avviene molto lentamente ed in modo del tutto discreto, in altri casi invece l’animale dà vita ad una fuga precipitosa. Contemporaneamente si verificano anche delle reazioni fisiologiche nell’organismo dell’animale, non osservabili esternamente, come per esempio un aumento od una diminuzione della frequenza cardiaca o una variazione del livello ormonale.

 

Cambiamenti nell’uso dello spazio e degli orari di attività appartengono alle conseguenze a medio termine. L’utilizzo dello spazio di un animale può essere compromesso anche da un singolo evento, se per esempio esso è poi costretto ad evitare le aree normalmente utilizzate per la ricerca di cibo per molte ore. Ogni cambiamento del ritmo di attività di un individuo ha come conseguenza che una determinata attività possa essere esercitata solo successivamente nel tempo (per esempio, la ricerca del nutrimento durante la notte anziché durante il giorno) o per un periodo più breve. E’ facilmente comprensibile che il bilancio energetico di un individuo, la ricerca di nutrimento, la sua digestione oppure ancora l’allevamento dei piccoli possano essere gravemente minacciati da ogni modificazione del normale ritmo di attività. In questa situazione l’animale non è più in grado di soddisfare il suo normale modo di vivere: per l’individuo ciò significa andare incontro ad una situazione di stress, che può avere conseguenze negative sul suo stato di salute.

 


Singoli fenomeni di disturbo possono essere tollerabili dalla fauna. Nel caso in cui però essi si manifestino spesso ed in modo intenso, allora non sono da escludersi conseguenze negative anche a lungo termine. Per esempio il fatto di non frequentare più determinate aree a seguito di continui disturbi, conduce ad una permanente perdita di spazio vitale. Un bilancio energetico negativo prolungato nel tempo conduce alla fine ad un peggioramento dello stato di salute di un animale, ad una riduzione del successo riproduttivo e a un aumento della mortalità. Nel caso in cui questi disturbi interessino molti individui, ciò conduce alla riduzione numerica di una popolazione, che può portare fino alla scomparsa di una specie.

Al ripetersi di una fonte di disturbo la fauna reagisce in due modi:

Abituazione

Quando i disturbi si manifestano sempre allo stesso modo e relativamente spesso, e gli animali hanno la possibilità di allontanarsi da essi, essi possono in una certa misura abituarvisi. Ciò può succedere per esempio lungo un itinerario marcato (un sentiero, una strada forestale, una pista da sci) o nei pressi di un rifugio. In questo caso i disturbi per gli animali diventano prevedibili e dopo un po’ di tempo essi non reagiscono più scappando e non generano neanche più situazioni di stress. L’abituazione rappresenta una forma di adattamento.

Sensibilizzazione

E’ il contrario di abituazione. In questo caso all’apparire ripetuto di un disturbo, gli animali si sentono sempre più in pericolo e fuggono a sempre maggiori distanze, fino addirittura ad abbandonare il loro luogo di permanenza originario. Questo comportamento si osserva in particolar modo nel caso di disturbi imprevedibili, ripetuti e che si manifestano dall’alto, come quelli che possono causare gli sciatori fuori pista o i piloti di parapendio. In caso di disturbi imprevedibili e ripetuti la fauna non si sente più sicura e abbandona i luoghi dove questi disturbi si manifestano: alla fine ciò comporta una perdita dell’habitat a disposizione. Questa situazione può condurre a conseguenze negative, tanto per il singolo individuo quanto per la popolazione di cui fa parte, come per esempio:

  • il cambiamento nell’uso del territorio e del ritmo di attività;
  • la perdita di aree importanti, quali i luoghi di svernamento, di ricerca del nutrimento, di parata e di nidificazione;
  • la modificazione del bilancio energetico con il peggioramento della condizione dell’individuo;
  • la diminuzione del successo riproduttivo e della consistenza della popolazione;
  • alterazione della biocenosi, a causa dello spostamento di certe specie da un ambiente all’altro;
  • la comparsa di danni alla rinnovazione forestale nelle aree dove gli ungulati si rifugiano.


Reazioni particolarmente violente vengono scatenate soprattutto attraverso le seguenti forme di disturbo:

  • itinerari insoliti e non prevedibili, come quelli al di fuori di tragitti marcati;
  • effetto sorpresa, dovuto all’alta velocità o alla comparsa improvvisa da un rilievo del terreno;
  • avvicinamento dall’alto, come può avvenire durante la discesa di scialpinisti o freerider o durante il volo dei parapendii;
  • gruppi di persone particolarmente rumorose;
  • persone accompagnate dal cane, soprattutto se questo non è tenuto al guinzaglio.


La fauna reagisce in modo particolarmente sensibile durante alcuni periodi dell’anno e del giorno, a seconda dell’età degli individui e delle caratteristiche dell’ambiente:

  • durante il periodo degli accoppiamenti, durante quello delle nascite e della nidificazione;
  • durante l’inverno;
  • nelle fasi crepuscolari del mattino e della sera, quando gli animali sono impegnati nella ricerca del nutrimento;
  • in presenza di animali giovani;
  • quando manca una zona di rifugio che abbia le stesse caratteristiche di quella che gli animali hanno dovuto abbandonare a seguito della comparsa del disturbo;
  • la distanza da un luogo sicuro.

Più disturbi, meno possibilità di sopravvivenza

Ci sono sempre più indicazioni che molte specie di animali vengono disturbate nello svolgimento delle loro attività (vedi video qui sotto) e del loro ritmo di vita e quindi anche durante i periodi di riposo (Fig. 3). Poiché le fasi di riposo costituiscono una parte fondamentale per la sopravvivenza in natura di qualsiasi essere vivente, le attività umane condotte in ambienti naturali sono in grado di produrre effetti negativi a lunga scadenza sulle popolazioni animali colpite (Fig. 4). Si pensi a quali effetti gli sciatori fuori pista possono avere su di un branco di camosci o di cervi, se questi vengono spaventati nelle loro zone ottimali di svernamento, e vengono costretti a fuggire.

Fig. 3 – Le attività umane condotte negli ambienti naturali possono costituire un grave elemento di disturbo per molte specie di animali nello svolgimento delle loro attività e del loro ritmo di vita e quindi anche durante i periodi di riposo: queste ultime costituiscono una parte fondamentale per la sopravvivenza in natura di qualsiasi essere vivente, soprattutto in inverno (foto Albert Mächler).

Fig. 4 – Anche in assenza di qualsiasi forma di disturbo, la fauna, qui due femmine di cervo con i loro piccoli, in inverno vive al limite della sopravvivenza. L’abbondante coltre nevosa, che rende difficile muoversi, le basse temperature e il nutrimento di scarsa qualità oltre che limitato in quantità, rendono complicato il raggiungimento di un bilancio energetico positivo. Per questi motivi, il motto della fauna in inverno è di ridurre al minimo qualsiasi forma di attività (foto Albert Mächler). 

Pensiamo alle conseguenze energetiche della fuga: muoversi nella neve costa molta energia, ed il dispendio energetico aumenta notevolmente con l’aumentare dell’altezza del manto nevoso (Fig. 5 e Fig. 6). Durante la fuga gli individui coinvolti sono sottoposti ad una situazione di stress, e la loro frequenza cardiaca aumenta considerevolmente. In questa situazione essi non sono neppure in grado di assumere nutrimento per riacquistare le energie perdute. Per di più molto spesso la fuga conduce in zone che offrono nutrimento di pessima qualità (soprassuoli forestali molto fitti).

Fig. 5 – Dispendio energetico necessario per diverse attività espresso come funzione del metabolismo basale negli ungulati. Il metabolismo basale è il dispendio energetico di un organismo vivente a riposo, comprendente dunque l’energia necessaria per le funzioni metaboliche vitali (respirazione, circolazione sanguigna, digestione, attività del sistema nervoso, ecc.). Rappresenta circa il 45-75% del dispendio energetico totale nella giornata. Darsi alla fuga in neve fresca richiede ad un ungulato un dispendio energetico decisamente superiore a qualsiasi altra attività: il suo recupero in inverno, a causa della scarsità e della bassa qualità del nutrimento a disposizione, è particolarmente impegnativo e faticoso (da Hüppop, 1995 in Ingold).

Fig. 6 – Un maschio di camoscio in grossa difficoltà nel procedere nell’abbondante manto nevoso. Secondo ricerche condotte da Geist, Mattfeld e Moen e riportate da Meile, un camoscio che fugge in salita in 50 cm di neve fresca ha bisogno di circa 60 volte più energia rispetto a camminare su un terreno pianeggiante senza neve. Questo significa che un minuto di fuga richiede la stessa quantità di energia di un’ora di cammino (foto Albert Mächler).

Se indisturbati, camosci e cervi, come del resto tutti i componenti della fauna alpina, scelgono le zone di svernamento in modo che queste offrano loro le migliori condizioni nei confronti della disponibilità di nutrimento, della protezione dagli agenti climatici, del riparo contro predatori. Quando gli animali vengono scacciati da queste zone, la loro richiesta energetica aumenta, e sono costretti a reintegrare le energie perdute a prezzi di sforzi considerevoli (Fig. 7). Questi disturbi significano, tanto per il singolo individuo quanto per la popolazione colpita, che tutti i raffinati adattamenti sviluppati nel corso della loro evoluzione non sono più sufficienti, e quindi la possibilità di superare l’inverno si riduce (Fig. 8).

Fig. 7 – Un fusone (cervo maschio di un anno d’età), mentre fugge nella neve alta. Nel momento in cui un ungulato è costretto a fuggire correndo, gli adattamenti sviluppati in migliaia di anni di evoluzione non sono più sufficienti a garantire loro di poter fronteggiare con successo le difficili condizioni invernali (foto www.naturpixel.ch). 

Fig. 8 – Le conseguenze provocate da un’azione di disturbo, qui una femmina di capriolo, dipendono da diversi fattori: dal momento in cui si manifesta (orario della giornata, stagione), dal luogo in cui si verifica e dalla frequenza, intensità e dal tipo di disturbo. Gli animali reagiscono in modo molto sensibile a fatti e circostanze non prevedibili. Gli incontri con l’uomo in luoghi per loro cruciali come le zone di nidificazione/parto e allevamento della prole, le zone per la ricerca del nutrimento e quelle di svernamento sono quelli che arrecano maggiore disturbo (foto Albert Mächler).

Secondo il biologo svizzero Peter Meile (1985), la relazione tra fuga e assunzione di nutrimento, può essere così riassunta:

1. Fuga ed eccitazione richiedono energia, e questa deve essere nuovamente reintegrata.

Conseguenza: il fabbisogno energetico aumenta.

Per motivi fisiologici, durante l’inverno non può essere digerito più nutrimento di quello corrispondente al normale fabbisogno.

Conseguenza: l’energia spesa può venire reintegrata solo parzialmente.

 

2. Durante la fuga e in stato di eccitazione non è possibile alcuna assunzione di nutrimento.

Conseguenza: l’energia spesa non può venire reintegrata.

 

3. In seguito ai disturbi antropici gli animali vengono scacciati dalle loro zone preferenziali di svernamento.

Conseguenza: minore qualità e quantità del nutrimento a disposizione.

 

Nelle nuove zone di soggiorno molto spesso non c’è sufficiente riparo nei confronti di altri fattori negativi, come predatori e agenti atmosferici (vento, basse temperature, ecc.).

Conseguenza: il fabbisogno energetico aumenta.

 

Effetti sul singolo individuo

Quando l’aumentato fabbisogno di nutrimento non può essere soddisfatto, e le riserve di grasso si sono esaurite, la condizione dell’individuo peggiora (Fig. 9).

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Fig. 9 – Quando l’aumentato fabbisogno di nutrimento non può essere soddisfatto, e le riserve di grasso si sono esaurite, la condizione dell’individuo peggiora: nei casi estremi questa situazione può portare alla morte dell’individuo. Di solito sono gli individui più giovani e quelli più vecchi a pagare un elevato tributo in inverno (foto Albert Mächler).

Effetti sulla popolazione

Gli effetti sul singolo individuo possono a lungo andare ripercuotersi negativamente sulla popolazione.

Conseguenza: la capacità riproduttiva diminuisce, e nello stesso tempo la predisposizione a malattie, così come la mortalità, aumentano.

 

Effetti sul bosco

Se il fabbisogno energetico, e quindi di nutrimento, aumenta, e nello stesso tempo il cibo a disposizione si riduce qualitativamente, allora i danni da brucamento alla rinnovazione forestale si aggravano.

 

Come si vede bene da queste valutazioni, gli effetti di un’azione di disturbo causata dall’uomo sulla fauna vanno ben oltre la fuga nella neve. Mettono in evidenza una serie di conseguenze a cascata di cui non ci si rende conto nel momento in cui si pratica la propria attività all’aperto. A questo proposito si ritiene che il comportamento dannoso tenuto spesso da chi frequenta gli ambienti naturali sia da imputare più ad una mancanza di conoscenze che non di rispetto.

 

Parlando di disturbo, è necessario fare la distinzione tra spostamento e fuga, in quanto per gli animali coinvolti hanno implicazioni energetiche assai diverse. Lo spostamento può essere definito come la reazione “non violenta” da parte di un animale all’apparire di un disturbo: essa avviene camminando e ha come conseguenza l’abbandono in modo tranquillo del luogo in cui si trovava. La fuga invece può essere definita come la reazione “violenta” da parte di un animale all’apparire di un disturbo: essa avviene correndo (o volando nel caso di un uccello) e ha come conseguenza l’abbandono, per mezzo della corsa (o del volo), del luogo in cui l’animale si trovava originariamente.

 

Se non è possibile eliminare del tutto il disturbo causato dalla nostra presenza in montagna, tuttavia, con un comportamento attento e consapevole, si può certamente ridurre l’impatto delle nostre attività. Per esempio, se nell’avvicinarsi a un branco di camosci lungo un determinato itinerario, si può evitare che essi scappino correndo, ma si spostino semplicemente camminando, questo per gli animali coinvolti significa un dispendio energetico decisamente inferiore (Camosci e scialpinisti”).

 

Tra i motivi che rendono le attività outdoor particolarmente negative per la fauna, vi è il fatto che da un lato gli animali non sono in grado di adattarsi a disturbi che appaiono negli ambienti naturali in forma non prevedibile, mentre le persone, che trascorrono il loro tempo nella natura, non sono assolutamente consapevoli del fatto che la fauna vive negli stessi ambienti da loro frequentati (fig. 10): ciò rende la convivenza particolarmente difficile. Soltanto attraverso campagne di informazione e di sensibilizzazione di tutti i gruppi di interesse che frequentano gli ambienti naturali di montagna, sarà possibile rendere compatibile in futuro le loro attività con la conservazione di equilibri così fragili e delicati.

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Fig. 10 – La maggior parte delle persone che frequentano la montagna non è assolutamente consapevole del fatto che negli ambienti in cui praticano le loro attività ricreativo-sportive possano vivere anche animali selvatici. Non vedendone ritengono erroneamente che non ve ne siano: questo mette i praticanti delle attività outdoor nella condizione di pensare che la propria presenza non abbia alcun impatto su di loro. In questa foto alcuni escursionisti passano a pochi metri da un maschio di gallo cedrone (nel cerchio rosso) senza assolutamente accorgersi di lui (foto Luca Rotelli).

© Luca Rotelli