© Tamara Hoebinger

attività turistiche

Esempi virtuosi

Soprattutto nei paesi di lingua tedesca dell’arco alpino, Austria, Svizzera e Germania, il dibattito sull’impatto delle attività outdoor, non solo invernali, sulla fauna, è in atto almeno dalla metà degli anni ottanta e nel corso di questi decenni sono state intensificate e migliorate grazie all’esperienza maturata.

 

I denominatori comuni di tutte queste iniziative sono essenzialmente tre:

  • campagne di informazione e sensibilizzazione dei diversi gruppi d’interesse;
  • canalizzazione del flusso dei praticanti lungo itinerari prestabiliti;
  • istituzione di zone di tranquillità per la fauna, dove le attività outdoor sono proibite o strettamente regolamentate.


In questi paesi, l’aspetto più importante su cui si è investito è quello della sensibilizzazione, con il lancio di campagne di informazione indirizzate a tutti gli utenti della montagna, sulle possibili conseguenze che la loro presenza in ambienti tanto delicati può avere: non solo quindi ai praticanti delle attività outdoor, ma anche a tutti quei gruppi di interesse che in montagna lavorano: guide alpine, maestri di sci, gestori delle stazioni sciistiche e gestori dei rifugi.

 

Per coloro che frequentano gli ambienti naturali, spesso le informazioni apprese sul campo attraverso le bacheche informative e la segnalazione delle aree da evitare, non sono sufficienti per comprendere a fondo il problema. E’ stato pertanto necessario fornire loro adeguate conoscenze, attraverso lo svolgimento dei numerosi corsi di avvicinamento e di perfezionamento alle diverse discipline tecniche alpine (in Italia questo compito potrebbe essere svolto dalle sezioni locali del CAI, della SAT e dell’AVS), con articoli sulle riviste specializzate del settore e sui giornali, dando l’adeguata visibilità al tema nelle trasmissioni televisive di settore, organizzando conferenze e corsi con le scuole e i diversi gruppi di interesse e coinvolgendo come testimonial figure prominenti degli sport invernali dei diversi paesi.

 

Per circoscrivere il disturbo arrecato da un numero sempre crescente di praticanti delle attività outdoor agli ambienti naturali e alla fauna che in essi vive, tra le misure più importanti adottate, vi è la canalizzazione del flusso dei praticanti lungo determinati percorsi, così come l’istituzione di zone di tranquillità, ad esclusivo appannaggio della fauna1, dove la presenza umana è bandita o strettamente regolamentata. Perché questi itinerari e queste aree possano essere facilmente individuate dai praticanti delle attività outdoor, sono state opportunamente marcate sul territorio e la loro ubicazione è stata poi riportata in cartografia, sia cartacea sia digitale, in modo tale che la pianificazione dell’escursione possa essere fatta prima di partire.

 

L’idea di fondo è che per la fauna, alcune aree, particolarmente durante il periodo invernale, ma non solo, sono così importanti per la sua esistenza, da non poter tollerare i disturbi provocati dalle diverse attività ricreative, che sempre più spesso, e con un numero sempre maggiore di praticanti, trovano luogo negli ambienti naturali. Con la loro istituzione si vuole quindi regolare la presenza umana, permettendo di separare, sia temporalmente sia spazialmente, le aree naturali utilizzate dall’uomo per le sue attività, dagli spazi vitali indispensabili agli animali.

 

Le zone di tranquillità possono essere create appositamente, oppure essere istituite all’interno di zone protette già esistenti, quali parchi e riserve oppure, come nel caso della Svizzera, all’interno delle bandite federali di caccia. In esse, durante tutto l’anno o solo in alcuni periodi, le attività outdoor (scialpinismo, escursionismo con racchette da neve, escursionismo, mountain bike, parapendio, deltaplano, ecc.) sono vietate del tutto oppure consentite in modo limitato: il transito di queste aree così come il loro sorvolo sono quindi strettamente regolamentati.

 

Di seguito sono stati riassunti gli aspetti salienti delle campagne di sensibilizzazione di maggior successo messe in atto in questi anni nei diversi paesi dell’arco alpino.

1Per poter soddisfare le proprie esigenze primarie, la fauna ha infatti bisogno di poter vivere indisturbata: questo principio è valido non solo in inverno, ma anche in primavera ed estate, durante il periodo della riproduzione, quello della nidificazione e dei parti e quello dell’allevamento dei giovani. Queste aree sono chiamate “zone di tranquillità” o “zone di rifugio” in italiano, mentre in tedesco vengono di solito chiamate Wildruhezonen, Schutzgebiete, Schongebiete oppure Naturschonzonen.

© Luca Rotelli