© Albert Mächler

ungulati

Camoscio (Rupicapra rupicapra rupicapra)

Descrizione

Il camoscio è un ungulato di medie dimensioni, con un corpo slanciato e ben proporzionato, tipico di un saltatore. Le corna, presenti in entrambi i sessi, sono persistenti, a crescita continua, uncinate e rivolte all’indietro. Il mantello viene cambiato due volte all’anno: tra aprile e maggio viene assunto il manto beige marrone-rossiccio, tipico del periodo estivo, con una linea dorsale, le zampe e la coda più scure (Fig. 1): la testa è più chiara con una banda scura che attraversa le guance dalla base delle orecchie alle narici. Tra settembre e ottobre si passa invece alla colorazione bruno scuro, fino al nero, con le macchie golari e frontali che spiccano in modo più vistoso rispetto all’estate (Fig. 2), tipico del periodo invernale: durante l’inverno è particolarmente folto, con lunghi peli che sono circa il doppio di quelli di quelli estivi.

Fig. 1 – Femmina di camoscio con il suo piccolo in estate. La colorazione del mantello estivo va dal beige al marrone-rossiccio, con una linea dorsale più scura, così come più scure sono le zampe e la coda. Il passaggio dal folto mantello invernale a quello più leggero del periodo estivo avviene in aprile-maggio. Il legame femmina-piccolo è molto stretto durante tutto il primo anno di vita di quest’ultimo. Quando in seguito a un’azione di disturbo, i branchi di femmine con piccoli vengono fatti fuggire, può accadere che avvenga la loro separazione, e prima che si verifichi di nuovo il ricongiungimento, possono trascorrere alcune ore (foto Albert Mächler). 

Fig. 2 – Maschio di camoscio all’inizio dell’inverno. Il mantello invernale è caratterizzato da una colorazione marrone-nerastro, più efficace nell’assorbimento della radiazione solare, con macchie golari e frontali che spiccano in modo più vistoso rispetto all’estate. In questa immagine è molto evidente il pennello, ciuffo di peli che si trova nella regione prepuziale. La muta autunnale avviene tra settembre e ottobre (foto Albert Mächler). 

I due sessi sono molto simili in quanto a dimensioni e peso. L’altezza al garrese è di 65-75 cm nelle femmine e di 75-85 cm nei maschi, mentre la lunghezza totale del corpo, misurata dal naso alla coda è di 110-130 cm nelle femmine e di 120-140 cm nei maschi. Il peso è compreso tra i 20 e i 35 kg nelle femmine e tra i 25 e i 40 kg nei maschi, con variazioni legate al tipo di habitat frequentato, al periodo dell’anno, all’età dell’individuo e alla densità di popolazione. La crescita avviene piuttosto rapidamente, raggiungendo il 50-60% del peso definitivo all’età di un anno, mentre il culmine dello sviluppo avviene a 3-4 anni d’età. Tra i sensi, la vista e l’odorato sono particolarmente sviluppati, mentre l’udito lo è abbastanza. Le aspettative di vita arrivano a poco oltre i 20 anni per le femmine e tra i 15 e i 18 anni per i maschi.


Tra le quattro specie di ungulati ruminanti che vivono sulle Alpi, il camoscio è senz’altro la specie meglio adattata al rigido ambiente alpino, avendo sviluppato adattamenti anatomici e fisiologici particolarmente efficaci per vivere in un ambiente così selettivo (Fig. 3). 

 

Per far fronte alla diminuzione della pressione atmosferica e quindi d’ossigeno, il camoscio ha un cuore particolarmente voluminoso rispetto alla sua taglia: negli individui adulti ha un peso di 300-350 grammi, che pompa nell’organismo un sangue molto denso che contiene 12-13 milioni di globuli rossi per mm3. Ugualmente ben sviluppati sono anche i polmoni.

 

Per sopportare il freddo intenso dell’inverno il camoscio ha un mantello invernale particolarmente spesso e denso, costituito da due tipi di peli: quelli più lunghi e robusti costituiscono la giarra, mentre quelli più corti formano la borra. Essi sono in grado di imprigionare un considerevole volume d’aria, che isola in modo eccellente l’animale dall’ambiente esterno. Inoltre, il colore particolarmente scuro del suo mantello favorisce un eccellente assorbimento della radiazione solare. 

 

L’apparato digerente è formato da tre prestomaci (rumine, reticolo e omaso), in cui avvengono i primi processi degradativi degli alimenti ricchi di cellulosa ad opera della flora microbica e della fauna protozoaria presente. La digestione vera e propria avviene a livello dell’abomaso, munito di ghiandole in grado di secernere enzimi digestivi. Questa estrema specializzazione dell’apparato digerente permette agli ungulati ruminanti, che vivono in montagna (capriolo, cervo, camoscio e stambecco), di sfruttare al meglio alimenti ricchi di fibre grezze (cellulosa e lignina), ma poveri di sostanze nutritive, che costituiscono l’alimentazione invernale.

Fig. 3 – Il camoscio nel corso della sua evoluzione ha sviluppato adattamenti molto sofisticati per poter vivere in alta montagna, anche nel periodo invernale. Perché siano efficaci è però necessario che esso possa godere della più assoluta tranquillità (foto Luca Rotelli).

Ambiente

Il camoscio è presente in tutti i massicci montuosi d’Europa, fino agli Alti Tatra. Sulle Alpi vive prevalentemente in prossimità del limite superiore del bosco, su versanti ripidi con affioramenti rocciosi e boschi radi, spostandosi tra i pascoli alpini a graminacee che vi sono al di sopra, in estate, e i versanti boscati sottostanti durante il periodo invernale (Fig. 4). Tuttavia è in grado di vivere ad alte quote anche tutto l’anno, preferendo in questo caso i ripidi versanti esposti a sud, che anche subito dopo nevicate copiose offrono velocemente superfici aperte per la ricerca del nutrimento. L’habitat del camoscio è caratterizzato inoltre da un rilievo particolarmente accidentato e roccioso, che la specie ricerca soprattutto durante i periodi di riposo, per mettersi al sicuro dai predatori e sottrarsi ai disturbi di origine antropica. Nel corso delle stagioni è in grado di utilizzare al meglio il contrasto dei versanti, il microrilievo e la copertura forestale, assicurandosi così un certo comfort termico e ottenendo il massimo profitto delle disponibilità alimentari presenti.

Fig. 4 – Habitat frequentato dal camoscio sulle Alpi. La specie trascorre buona parte dell’anno in prossimità del limite superiore del bosco, su versanti ripidi con affioramenti rocciosi e boschi radi, spostandosi nel corso delle stagioni tra i pascoli alpini a graminacee che vi sono al di sopra, in estate, e i versanti boscati sottostanti durante il periodo invernale (foto Luca Rotelli).

Alimentazione

Il camoscio si nutre per gran parte dell’anno essenzialmente di piante erbacee: graminacee e leguminose (Fig. 5). All’inizio dell’inverno, quando il manto nevoso non è ancora totale, esso continua ad alimentarsi di graminacee ormai secche e in più di mirtillo nero, di mirtillo rosso, di uva ursina e di ginepro. Aumentando lo spessore della coltre nevosa, il raggiungimento delle specie erbacee e arbustive diventa sempre più difficile (Fig. 6). Tuttavia andando alla ricerca di quelle zone che periodicamente risultano libere dalla neve, come per esempio le creste battute dal vento, i pendii molto ripidi e le formazioni rocciose presenti sui versanti soleggiati, i camosci riescono a reperire periodicamente ciò di cui hanno bisogno. Quando ciò non è possibile, allora si alimentano delle giovani piante che fuoriescono dalla superficie nevosa, brucando le gemme, i rametti, se non addirittura la corteccia delle latifoglie (sorbo degli uccellatori, farinaccio, ontano verde) e delle conifere (abete rosso, abete bianco e pino mugo), oltre a muschi e licheni, che raramente sono consumati nel corso delle altre stagioni. In inverno la ricerca di nutrimento avviene durante l’intera giornata, mentre in estate essa si concentra nelle ore crepuscolari della mattina e della sera.

Fig. 5 – Femmine di camoscio con i loro piccoli, intenti ad alimentarsi su una prateria alpina. Il nutrimento ricco di sostanze nutritive disponibile in estate permette ai camosci di accumulare abbondanti riserve di grasso, indispensabile per il superamento del periodo invernale, quando il nutrimento è più difficile da reperire ed è di minore qualità (Foto Albert Mächler).

Fig. 6 – In inverno, il reperimento del nutrimento, a causa della coltre nevosa, diventa particolarmente difficile. Inoltre la sua qualità è decisamente scadente. Durante i mesi invernali i camosci consumano più di quello che ingeriscono e parte dell’energia necessaria deriva dal consumo delle riserve di grasso accumulate in estate: il risultato è che gli animali durante la cattiva stagione vanno incontro ad una riduzione del proprio peso corporeo piuttosto rilevante
(foto Albert Mächler).

Comportamento e riproduzione

Il camoscio è una specie sociale, in cui le femmine con i piccoli e i giovani di un anno, soprattutto se femmine, danno vita a gruppi familiari che a loro volta si riuniscono in grossi branchi, come è possibile osservare in estate e in inverno (Fig. 7). I maschi adulti invece vivono per lo più da soli, mentre quelli giovani in piccoli gruppi, unendosi ai branchi di femmine e piccoli durante il periodo riproduttivo che cade tra novembre e dicembre. In questa fase i maschi difendono il loro territorio e i branchi di femmine dai rivali. Essi durante gli amori si alimentano pochissimo, arrivando a perdere una parte consistente del loro peso, che devono poi riacquistare velocemente prima di entrare nella parte più difficile dell’inverno.


La gestazione dura 160-170 giorni, ovvero 23-24 settimane. La maggior parte dei parti avviene tra la metà di maggio e la metà di giugno, e le femmine mettono al mondo generalmente un solo piccolo, che viene allattato intensivamente per i primi 2-3 mesi, mentre comincia già dopo poche settimane ad alimentarsi di specie erbacee. Nel corso dell’estate la componente vegetale diventa sempre più importante nella sua alimentazione: tuttavia il piccolo continua a prendere il latte dalla madre, anche se saltuariamente, fino nel tardo autunno.


Conseguenze della presenza umana

I camosci possono essere disturbati già a distanze relativamente elevate. La loro distanza di fuga varia tra i 100 e gli oltre 300 m. Per questi animali gli scialpinisti e i freerider, che si avvicinano ad alta velocità, rappresentano un grosso pericolo, che spinge i camosci a fughe precipitose, particolarmente faticose. La fuga nella neve alta e su pendii ripidi ha bisogno di molta energia in più, rispetto a quella di cui hanno normalmente bisogno. Se in seguito ad un’azione di disturbo sono costretti ad abbandonare i loro luoghi di svernamento e vengono spinti nel bosco, è possibile che causino ingenti danni da brucamento alla rinnovazione forestale.

Fig. 7 – Il camoscio è una specie estremamente sociale, in cui le femmine con i loro piccoli si riuniscono in grossi branchi, come è possibile osservare in estate e in inverno. In questa foto una femmina si sta prendendo cura temporaneamente di un gruppo di piccoli, mentre le altre femmine si stanno alimentando poco lontano (foto Albert Mächler).

© Luca Rotelli

footer-DSCN1162 Luca Rotelli