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Aquila reale (Aquila chrysaetos)

L’Aquila reale è l’unico grande predatore sopravvissuto sulle Alpi alle intensive persecuzioni che hanno portato all’estinzione il gipeto, la lince, il lupo e l’orso bruno.

 

Descrizione
L’aquila è un rapace dalle forme potenti e con una silhouette ben bilanciata: è dotata di una coda relativamente lunga e di ali lunghe e piuttosto larghe, che nel punto in cui si inseriscono sul corpo sono leggermente più strette, mentre le loro estremità sono digitate, a causa della distanza tra le remiganti primarie. Quando volteggia e quando plana vengono tenute sopra il livello del corpo a formare una V. La testa è particolarmente massiccia e tenuta in avanti, con la nuca dorata, da qui il nome in inglese di golden eagle (aquila dorata) (Fig. 1). La particolare destrezza dell’aquila nel volo è determinata da uno scheletro resistente e leggero, da un cuore grosso e rapido (330 battiti al minuto), da una grande capacità respiratoria e dalla particolare conformazione delle ali, che sono un modello di perfezione aerodinamica.

Fig. 1 – La silhouette, elegante e possente allo stesso tempo, di un individuo subadulto di aquila reale. L’apertura alare nelle femmine è di 200- 230 cm, mentre quella dei maschi è di 190-210 cm. A causa della distanza tra le remiganti primarie, le ali sono digitate alle loro estremità. Quando volteggia e quando plana vengono tenute sopra il livello del corpo a formare una V. La testa è particolarmente massiccia e tenuta in avanti, con la nuca dorata, da cui il nome in inglese di golden eagle (aquila dorata) (foto Albert Mächler).

Le giovani aquile sono particolarmente facili da riconoscere a causa delle evidenti macchie alari bianche, presenti sia sopra sia sotto, ma più ampie sul lato inferiore, e di quella presente alla base della coda, che creano un evidente contrasto con la colorazione bruno scuro del resto del corpo. Al raggiungimento della maturità sessuale, all’età di 4-5 anni, sia le ali sia la coda sono ormai diventate scure (Fig. 2). Le femmine con un peso compreso tra i 4 e i 7 kg sono più grandi dei maschi, che in media hanno pesi compresi tra i 3 e i 5 kg. L’apertura alare nelle femmine è di 200- 230 cm, mentre quella dei maschi è di 190-210 cm. Queste dimensioni vengono raggiunte già dai giovani quando, non appena sono in grado di volare, abbandonano il nido. Le differenze di grandezza che si possono apprezzare in volo sono pertanto caratteristiche da ricondursi al sesso degli individui e non all’età. L’aquila ha 11 remiganti primarie, 17 remiganti secondarie e di 12 timoniere.

 

Le zampe sono piumate e caratterizzate da quattro dita relativamente brevi di colore giallo e da robusti, lunghi e affilati artigli. Quello posteriore delle femmine adulte ha una lunghezza compresa tra i 5 e i 6 cm. Le aquile uccidono le loro prede, affondando i loro artigli nei polmoni o nella calotta cranica: possono predare anche animali di dimensioni ragguardevoli, come i piccoli delle specie di ungulati, che in inverno sono più pesanti di loro.

 

La testa è compatta e aerodinamica. Il becco adunco ha un colore nero bluastro e serve unicamente per spezzettare la carne. La base del becco è coperta da una pelle molle chiamata cera, di colore giallo.

 

La vista è il senso più sviluppato nell’aquila ed è otto volte più acuta di quella dell’uomo, in grado di scoprire una marmotta ad 1 km di distanza. Quando vola molto veloce, l’arcata sopraccigliare sporgente funziona da deflettore, proteggendo l’occhio dall’aria.

 

Gli occhi dell’aquila sono più grossi di quelli dell’uomo, anche se il suo cranio è molto più piccolo. Le strutture ossee attorno agli occhi forniscono un saldo attacco ai muscoli che regolano l’apertura della pupilla, la curvatura delle lenti e i piccoli movimenti oculari: essi contribuiscono a localizzare velocemente, a mettere a fuoco con precisione e ad adattarsi bene alle diverse intensità luminose. L’aquila reale è in grado di distinguere una forma in movimento a grandissima distanza e il potere di risoluzione dei suoi occhi è probabilmente superiore a quello di tutti gli altri vertebrati. L’insieme di queste proprietà deriva dalla particolare struttura del cristallino e dal gran numero di cellule sensoriali (coni e bastoncelli) di cui è provvista la retina. In esse vi sono inoltre due fovee, una rivolta di lato ed una in avanti, formando un campo visivo di 250°, di cui 50° a visione binoculare fondamentale per calcolare con esattezza la distanza dalla preda. Gli occhi sono protetti sia dalle normali palpebre, che da una terza palpebra trasparente a scorrimento orizzontale, chiamata membrana nittitante: essa durante il volo è calata sugli occhi impedendone una eccessiva disidratazione ed è anche abbassata durante le lotte e quando i piccoli vengono nutriti nel nido. 

Fig. 2 – Il raggiungimento della maturità sessuale avviene nell’aquila a 4-5 anni d’età: a quel punto sia le ali, sia la coda, diventano scure. In questa immagine, un individuo ormai pronto a diventare adulto (foto Albert Mächler).

Ambiente

In Italia l’aquila reale è presente sull’intero arco alpino, oltre che sugli Appennini e sulle due isole maggiori: è un tipico abitatore delle aree aperte e semi aperte. In estate frequenta soprattutto la zona al di sopra del limite superiore del bosco, mentre in inverno sorvola i boschi radi fino al limite del bosco. I siti di nidificazione si trovano di solito al di sotto del limite del bosco, tuttavia la fascia altitudinale utilizzata può essere molto ampia, andando dai 1000 ai circa 2500 m.

 

Le coppie di aquila reale sono territoriali e i loro territori sono distribuiti in modo piuttosto regolare: al loro interno non vengono tollerati altri individui. La grandezza del territorio occupato da una coppia di aquile reali varia a seconda della distribuzione del nutrimento nel corso dell’anno, dell’ubicazione dei nidi e soprattutto della disponibilità di versanti esposti a sud. I pendii esposti nei quadranti meridionali sono ricercati soprattutto in inverno, quando le correnti termiche ascensionali sono utilizzate per volteggiare e per planare riducendo il dispendio di energie. La grandezza dei territori varia tra 30 e 150 km2 e spesso una coppia di aquile frequenta un’intera vallata (Fig. 3).

Fig. 3 – L’aquila reale in estate e in autunno frequenta soprattutto la zona al di sopra del limite superiore del bosco, mentre in inverno sorvola i boschi radi, cacciando a quote altitudinali inferiori, ove sverna la maggior parte delle sue potenziali prede. I siti di nidificazione si trovano di solito al di sotto delle aree utilizzate come territori di caccia. La grandezza del territorio occupato da una coppia di aquile reali varia a seconda della distribuzione del nutrimento nel corso dell’anno, dell’ubicazione dei nidi e soprattutto della disponibilità di versanti esposti a sud. I pendii esposti nei quadranti meridionali sono ricercati soprattutto in inverno, quando le correnti termiche ascensionali sono utilizzate per volteggiare e per planare riducendo il dispendio di energie (foto Luca Rotelli).

Alimentazione

L’aquila reale è un carnivoro che si procura direttamente il nutrimento uccidendo le sue prede, senza però disprezzare nemmeno l’utilizzo di carogne (Fig. 4). La parte più consistente dell’alimentazione è costituita da mammiferi di piccola fino a media taglia (lepri, marmotte, volpi) e da uccelli, come i rappresentanti della famiglia dei tetraonidi. Sulle Alpi, la preda più importante nella dieta alimentare dell’aquila nel periodo primaverile-estivo è la marmotta, che può costituire fino all’80% della sua dieta. Laddove le popolazioni di marmotta non sono così abbondanti, la dieta è più diversificata ed è costituita da altre specie di mammiferi fino alla dimensione di un piccolo di ungulato e da uccelli fino a quella di un maschio di gallo cedrone. Durante l’inverno, quando le marmotte sono in letargo, l’aquila si ciba tra l’altro di fagiani di monte, di pernici bianche e di lepri bianche, ma la parte più importante dell’alimentazione, parlando di prede che possono essere abbattute direttamente dal rapace, è costituita dagli ungulati fino alla dimensione di un capriolo e di un camoscio di un anno d’età e dai piccoli di cervo. Tuttavia questi animali di maggior mole vengono per lo più rinvenuti morti.

 

Soprattutto all’inizio dell’inverno, prima che gli ungulati paghino il loro tributo alle difficili condizioni di questa stagione, può capitare che un’aquila debba digiunare anche per molti giorni consecutivamente. Essa deve assumere giornalmente in media circa 250-280 grammi di carne. I giovani aquilotti, durante la loro rapida crescita, hanno tuttavia bisogno di molto più nutrimento: dalla nascita fino al momento dell’involo una giovane aquila ha bisogno di una quantità di cibo, pari a circa 20 marmotte. Le prede di grandi dimensioni, come gli ungulati, vengono utilizzate dall’aquila solo parzialmente, in quanto se ne cibano anche altri animali, come la volpe, i mustelidi e i corvidi. Se si considera la ridotta densità a cui vive l’aquila, la quantità di prede uccise per km2 è decisamente bassa e inferiore per esempio a quella della volpe. Per questo motivo l’aquila in ambiente alpino è in grado come nessun’altra specie di utilizzare in modo sostenibile le popolazioni di prede.

 

L’aquila è di solito attiva nelle ore centrali della giornata, mentre di rado lo è nelle ore crepuscolari. Tuttavia in primavera può capitare di osservarla già alla mattina presto, anche prima delle sei, in volo sopra le arene di canto dei fagiani di monte intenti nell’attività riproduttiva. Il più importante organo di senso per andare alla ricerca di nutrimento è la vista, la cui efficienza è di molte volte superiore a quella dell’uomo. Essa utilizza due diverse tecniche di caccia: all’agguato oppure in volo. Nella caccia all’agguato può passare anche diverse ore appollaiata su un punto d’osservazione particolarmente favorevole, per poi sferrare il suo attacco improvviso: grazie alla sua vista acutissima, l’aquila è in grado di individuare le sue prede delle dimensioni di una marmotta o di una pernice bianca fino a circa 1 km di distanza. Una volta individuate si lancia in picchiata, arrivando a velocità di circa 250 km/h. Nonostante questa notevole velocità, soltanto un numero limitato di attacchi va a buon fine: di solito il successo di caccia con questa tecnica non è superiore al 10-20%. La caccia in volo viene spesso praticata in coppia: mentre uno dei due passa in volo radente lungo i versanti per spaventare la possibile preda e farla fuggire, l’altro dall’alto si getta in picchiata per cercare di catturarla. Quando invece è praticata da un solo individuo, esso plana molto basso lungo il versante, sopra i dossi e le asperità del terreno, cercando di sorprendere le prede a breve distanza: nel caso siano uccelli, essi vengono uccisi a terra o nei primissimi metri dopo l’involo.

 

L’aquila, insieme al lupo e alla lince, appartiene ai predatori apicali. Anche con animali del peso di 10 kg, come può essere un piccolo di camoscio o di capriolo, i suoi artigli lunghi e robusti sono in grado di perforare la loro calotta cranica andando a ledere il cervello: animali di queste dimensioni difficilmente possono però essere trasportati interi (Fig. 5). Anche le stesse marmotte spesso devono essere tagliate in pezzi, grazie al forte becco adunco, in modo che possano essere trasportate più facilmente al nido. Questo deve poter essere raggiunto da un’aquila che trasporta una preda anche quando il nido si trova a una certa distanza dal punto in cui essa è stata abbattuta. Per questo motivo normalmente i siti di nidificazione si trovano a quote più basse rispetto alle zone di caccia, in modo che le prede, soprattutto quando di un certo peso, possano essere portate facilmente in volo planato fino al nido.

Fig. 4 – Un giovane d’aquila, mentre si accinge ad alimentarsi su di un camoscio morto durante l’inverno. Poiché i giovani esemplari, nel corso dei primi anni della loro vita, devono imparare le impegnative tecniche di caccia, essi dipendono fortemente dalla fauna selvatica morta: per questo motivo sorvolano vaste aree delle Alpi alla ricerca di carogne (foto Albert Mächler).

Fig. 5 – Un’immagine piuttosto rara, anche se non del tutto insolita: un’aquila intenta a trasportare un camoscio di medie dimensioni, probabilmente un individuo di un anno. Proprio per facilitare il trasporto di prede del genere, i nidi sono di solito ubicati a quote inferiori ai territori di caccia. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, prede di questa grandezza vengono ridotte in pezzi, prima di essere trasportate (foto Albert Mächler).

Comportamento e riproduzione

Le coppie rimangono tutto l’anno all’interno del loro territorio e rimangono fedeli al loro partner per tutta la vita. Le aspettative di vita sono piuttosto lunghe, in quanto una coppia in media può vivere anche 15 anni, mentre l’età massima mai registrata di un individuo in Europa è stata di 32 anni. Nel momento in cui, uno dei due componenti della coppia dovesse morire, il componente rimasto aspetta all’interno del territorio l’arrivo di un individuo solo, pronto a creare una nuova coppia. I giovani, una volta lasciato il nido, rimangono nel territorio dei genitori fino a gennaio-febbraio dell’anno successivo, in quanto dipendono da loro per il nutrimento, dopodiché vanno alla ricerca di un loro territorio e durante questa fase possono compiere lunghi spostamenti. Ad essi manca l’esperienza nel cacciare le prede e la conoscenza delle zone di caccia: vivono quindi prevalentemente di carogne e dovendo fare molti voli di ricognizione per trovarle, sono ancor più dipendenti degli adulti dalla presenza di correnti termiche. In questa ricerca essi frequentano anche zone subottimali e sono soggetti ad un’elevata mortalità. Soltanto il 25% di tutti i giovani che si sono involati riesce ad arrivare alla maturità sessuale, che di solito raramente viene raggiunta prima del quinto anno.

L’inizio della stagione riproduttiva si ha in gennaio, quando i voli a festoni diventano sempre più frequenti, mentre a partire da febbraio le aquile cominciano a portare al nido materiale per la sua costruzione. Per la maggior parte dei nidi vengono scelte delle cenge o degli anfratti rocciosi su pareti di diversa tipologia, mentre è più raro che vengano costruiti sugli alberi. Di solito all’interno di un territorio, una coppia costruisce più nidi che vengono poi usati alternativamente negli anni e che molto spesso sono stati utilizzati dai loro predecessori. Prima della deposizione delle uova, una coppia può anche sistemare più nidi, ma nella maggior parte dei casi viene utilizzato sempre lo stesso per molti anni: per questo motivo la loro dimensione può diventare davvero ragguardevole, con un’altezza di anche 2 metri e una larghezza fino a 3 metri. La deposizione delle uova avviene tipicamente tra la metà di marzo e la metà di aprile. Di solito vengono deposte due uova, a distanza di 3-5 giorni: esse vengono covate alternativamente sia dal maschio sia dalla femmina per un periodo di 43-44 giorni, con brevi pause che di solito non durano più di qualche minuto: la schiusa avviene tipicamente durante il mese di maggio. Quando entrambi i piccoli vengono al mondo, entrano in concorrenza per il cibo: in questo modo il pulcino nato prima (la schiusa delle due uova può avvenire a più giorni di distanza uno dall’altro) impedisce a quello più giovane di accedere al nutrimento e ciò fa sì che dopo poche settimane solo un piccolo sopravviva (questo fenomeno è conosciuto con il nome di cainismo). Una volta nato, il giovane aquilotto deve essere protetto dagli adulti quasi costantemente dal caldo e dal freddo, fino a circa il quattordicesimo giorno d’età. All’inizio è la femmina che alimenta regolarmente i piccoli, preparando piccoli pezzi di carne pronti per essere ingeriti. A partire dal trentesimo giorno, i genitori si limitano a portare le prede nel nido, dove poi sono tagliate a pezzi dal giovane stesso e poi inghiottite. Sia le uova, sia i piccoli di pochi giorni o settimane, sono costantemente in pericolo e per nessuna ragione bisognerebbe avvicinarsi a loro. Le minacce non vengono solo dall’uomo, ma anche da altre aquile che entrano nel territorio, costringendo la coppia residente ad intraprendere azioni di difesa, che la inducono a trascurare la cova o la protezione dei giovani. Durante le ultime settimane del periodo di permanenza dei giovani nel nido, i genitori vi fanno visita per periodi sempre più brevi: soltanto il tempo necessario a depositare le prede, che ora vengono lasciate intere. All’età di circa 75-80 giorni, tra la fine di luglio e la prima metà di agosto, i giovani hanno raggiunto la grandezza dei genitori e abbandonano il nido: dipenderanno da loro fino all’inverno successivo per quanto riguarda il nutrimento. Nella maggior parte di casi soltanto un giovane viene portato a maturità, mentre è più raro che riescano a farlo tutte e due. Non tutti gli anni comunque la nidificazione ha successo.

Il successo riproduttivo di una coppia d’aquile dipende dall’assiduità con cui i suoi componenti frequentano il nido: quanto più tempo i genitori trascorrono al nido, tanto più elevato è il successo riproduttivo. Coppie, che durante il giorno lasciano incustodito il nido per più del 10% del tempo complessivo, hanno un basso tasso riproduttivo. Durante i circa 42 giorni di cova, un nido “di successo” viene occupato per il 90-100% della giornata. La permanenza di una coppia d’aquile al nido durante il periodo della cova, può dunque servire come parametro per stabilire la probabilità che un nido schiuda. Normalmente i membri di una coppia partecipano entrambi alla cova: in media la femmina cova il 71%, il maschio il 18% della giornata. Nel momento però in cui la cova è disturbata da altre aquile, il maschio manca per tutta la giornata, mentre di contro la femmina cova esattamente come negli altri giorni: pertanto il successo riproduttivo è correlato positivamente alla partecipazione del maschio alla cova.

Conseguenze della presenza umana durante la nidificazione

L’aquila durante il periodo della cova reagisce in modo decisamente sensibile ai disturbi: già a 300 metri di distanza possono portare all’immediato abbandono del nido. Tra gli altri possiamo ricordare: il volo di parapendii ed elicotteri, gli arrampicatori e i fotografi naturalisti.

Stato di conservazione:

Secondo la Lista Rossa IUCN degli uccelli nidificanti in Italia (Gustin et al., 2019), l’aquila reale è considerata quasi minacciata (NT).

 

Il contenuto di questa sezione è tratto dai seguenti articoli della serie Wildbiologie:

  • Der Steinadler (Heinrich Haller, 1984);
  • Bestandesregulation beim Steinadler in den Alpen (David Jenny, 1992).

© Luca Rotelli

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