© Albert Mächler

come vive la fauna d'inverno

I tetraonidi

Durante l’inverno i tetraonidi (francolino di monte, gallo cedrone, fagiano di monte e pernice bianca) devono ridurre al massimo la loro attività, in quanto un dispendio energetico eccessivo non può essere reintegrato facilmente con la nuova assunzione di cibo (il video qui a fianco riprende l’involo di un maschio di fagiano di monte dalla sua cavità nella neve al passaggio di uno sciatore fuori pista). Questa difficoltà è determinata dall’estrema povertà di elementi nutritivi di cui l’alimentazione invernale è caratterizzata e dalla particolarità del sistema digerente che, nei tetraonidi, è in grado di metabolizzare il contenuto del gozzo1, unicamente per due volte al giorno.

 

In inverno, la riduzione del dispendio energetico avviene trascorrendo nella più assoluta immobilità la maggiore parte della giornata (nella fase centrale dell’inverno oltre 20 ore al giorno) (Fig. 1).

1  E’ un’estroflessione dell’apparato digerente in cui vengono accumulati temporaneamente i vegetali durante la loro raccolta e che nel fagiano di monte ha una capacità di circa 120 grammi.

Fig. 1 – In inverno i tetraonidi, qui un maschio di gallo cedrone, trascorrono la maggior parte del tempo riposando, al fine di ridurre al massimo il dispendio di energie. Se il manto nevoso non è sufficiente spesso, gli uccelli si acquattano semplicemente sulla neve, altrimenti scavano delle vere e proprie cavità (vedi fig. 2) (foto Luca Rotelli).

Se inoltre, sul terreno è presente una coltre nevosa di almeno 30-40 cm di spessore, costituita da neve farinosa, i fagiani di monte e i galli cedroni scavano delle cavità (Fig. 2, 3 e 4) all’interno delle quali la temperatura è molto più confortevole rispetto a quella esterna: essa è di norma compresa tra i -1 e i -2 °C, ma anche se la temperatura esterna dell’aria scende a -30 °C, all’interno della cavità non scende mai sotto i -3/4 °C (Fig. 5).

Fig. 2 – Maschio di gallo cedrone intento a scavare una cavità nella neve farinosa. Il tempo necessario per lo scavo è di pochi secondi. Questo comportamento ha una duplice finalità: da un lato consente di vivere in condizioni termiche più favorevoli, dall’altro di sottrarsi alla vista dei predatori (foto Luca Rotelli). 

Fig. 3 – Particolare di una cavità scavata nella neve da un fagiano di monte. Sulla sinistra è visibile il punto di entrata, mentre al centro sotto la depressione della neve è situata la camera di pernottamento, dove l’uccello ha trascorso alcune ore, prima di abbandonarla per andare alla ricerca di nutrimento. Se l’uccello non è disturbato, l’abbandono della cavità avviene tipicamente di pedina, come è successo in questo caso. Ciascuna cavità viene utilizzata una sola volta. Un fagiano di monte in inverno scava pertanto due cavità al giorno: una in mattinata, dopo il primo periodo di alimentazione, dove trascorrerà la giornata e una nel tardo pomeriggio, dopo il secondo periodo di alimentazione, dove trascorrerà tutta la notte (foto Luca Rotelli).

Fig. 4 – In ombra, le cavità, ormai abbandonate, scavate da due fagiani di monte. Per il loro scavo è necessario che la neve sia farinosa e per questo motivo vengono scelti prevalentemente i versanti esposti a nord, dove la neve mantiene più a lungo le caratteristiche adatte. Una volta usciti dai loro buchi, questi fagiani si sono alimentati di aghi di pino mugo presenti nelle immediate vicinanze (foto Luca Rotelli).

Fig. 5 – Sezione longitudinale della cavità scavata da un fagiano di monte nella neve. La freccia sulla destra indica il punto di ingresso nel manto nevoso, poi c’è il tunnel che può avere una lunghezza variabile da pochi centimetri ad alcuni metri, mentre sulla sinistra vi è la camera di pernottamento, dove l’uccello trascorre la maggior parte del giorno e la notte. Essa si trova a pochi centimetri appena sotto la superficie della neve, in modo da consentire facilmente la fuga in volo, nel caso si avvicini un pericolo. Altrimenti l’abbandono della cavità avviene di pedina. Il passaggio nella coltre nevosa viene liberato con le zampe: la neve viene accumulata dietro l’animale, in modo tale che il tunnel che unisce l’entrata alla camera di pernottamento sia totalmente chiuso. La temperatura dell’aria, della neve e della cavità è indicata in blu (da Klaus et al. 1990, modificato).

Questo permette agli uccelli di ridurre il dispendio energetico per la termoregolazione di ben il 20-35% a seconda dei casi. Nel caso di temperature eccezionalmente basse o durante periodi di bufera, i tetraonidi possono trascorrere fino a 23 ore al giorno all’interno di queste cavità e in casi straordinari possono passare anche più giorni prima di essere costretti a uscire per alimentarsi. Quando un fagiano di monte è disturbato all’interno della sua cavità, esso l’abbandona volando (vedi filmato a inizio sezione). Dopo essere stato costretto ad uscire dalla propria cavità per sottrarsi all’azione di disturbo, trascorre diverse ore appollaiato su di un albero (Fig. 6): così facendo è in grado di rendersi conto se il pericolo è ancora presente. Il risultato di questo comportamento ha però diverse conseguenze negative: innanzitutto volare, per un uccello con elevato carico alare, come un tetraonide, è un’attività molto dispendiosa dal punto di vista energetico (Fig. 7).

Fig. 6 – Maschio di gallo cedrone appollaiato su di un abete rosso in pieno inverno. Di solito galli cedroni e fagiani di monte trascorrono in pianta solo il tempo necessario per la raccolta di nutrimento, altrimenti, se lo spessore della coltre nevosa lo permettono, preferiscono passare la maggior parte del tempo sotto la neve (foto Luca Rotelli).

Fig. 7 – Dispendio energetico necessario per diverse attività, espresso come funzione del metabolismo basale per un uccello con un elevato carico alare (per esempio il fagiano di monte). Il metabolismo basale è il dispendio energetico di un organismo vivente a riposo, comprendente dunque l’energia necessaria per le funzioni metaboliche vitali (respirazione, circolazione sanguigna, digestione, attività del sistema nervoso, ecc.). Involarsi richiede ad un tetraonide un dispendio energetico decisamente superiore a qualsiasi altra attività: il suo recupero in inverno, a causa della scarsità e della bassa qualità del nutrimento a disposizione e del particolare funzionamento dell’apparato digerente non è possibile (da Hüppop, 1995 in Ingold) (foto Marzio Barelli).

Inoltre nella situazione di eccitazione in cui si trova è impossibilitato ad alimentarsi, mentre il fatto di essere esposto all’aria, la cui temperatura può essere anche di diversi gradi sotto lo zero, aumenta il dispendio energetico necessario per la termoregolazione. D’inverno, tutte le specie di tetraonidi evitano il più possibile di volare, a meno che non siano stati disturbati (vedi filmato a inizio sezione). Brevi voli vengono invece effettuati per scendere a terra da una pianta, oppure per salirvi quando gli uccelli vanno alla ricerca di nutrimento.

 

Un fagiano dopo avere trascorso la notte in una di queste cavità, appena inizia a fare chiaro, esce dal suo “igloo” per andare alla ricerca di cibo per circa un’ora. Dopo di che si rituffa nella neve per ricostruire una nuova cavità nella quale passerà il resto della giornata, per uscire nuovamente prima di sera, per un altro periodo di ricerca del nutrimento (Fig. 8)E così via. Di solito la fase di alimentazione tardo-pomeridiana dura più a lungo, in quanto deve essere ingerita una quantità di nutrimento maggiore per produrre l’energia necessaria a trascorrere le lunghe notti invernali. 

Fig. 8 – Attività giornaliera di un maschio di fagiano di monte dotato di un trasmettitore munito di un sensore di attività durante un periodo di tre giorni, in pieno inverno, misurata nel corso di un progetto condotto nel Parco Naturale Veglia-Devero. Per la maggior parte del tempo l’individuo è stato completamente fermo. Sono evidenti invece i due picchi giornalieri di attività dedicata alla ricerca di nutrimento, uno in mattinata e l’altro nel pomeriggio: quest’ultimo solitamente è il più importante.

Oltre a questo adattamento comportamentale che ha lo scopo di ridurre il dispendio energetico grazie ad un’attività ridotta e a condizioni di temperatura più vantaggiose sotto la neve, vi sono anche adattamenti morfo-anatomo-fisiologici che rendono questi uccelli particolarmente adatti al rigido ambiente invernale:

 

  • la forma tozza e raccolta riduce notevolmente la dispersione di calore (Fig. 9);
  • la particolare struttura delle piume dotate di vessillo secondario aumenta lo spessore del piumaggio e forma sacche d’aria che costituiscono uno strato isolante tutto intorno al corpo dell’uccello (Fig. 10 e 11);
  • i fori nasali completamente piumati permettono di proteggere le cavità nasali durante lo scavo dei buchi, impedendo alla neve di entrarvi. Allo stesso tempo essi intrappolano il vapore acqueo prodotto durante la respirazione, prevenendo così la formazione di umidità durante i lunghi periodi di tempo trascorsi all’interno delle cavità. In questo modo si evita che la parete interna della cavità si ghiacci, ciò che potrebbe avere due controindicazioni: da una parte la riduzione dell’ossigeno disponibile, dall’altra l’abbandono della cavità potrebbe risultare difficoltoso a causa della maggior durezza della neve ghiacciata;

Fig. 9 – La forma tozza e raccolta riduce notevolmente la dispersione di calore (qui un maschio di gallo cedrone intento a riposare in pieno inverno). Per questo motivo gli uccelli molto spesso in inverno assumono una postura raccolta. Inoltre, per isolarsi meglio dall’ambiente esterno, essendo l’aria un buon isolante termico, gonfiano il piumaggio, inglobandola tra le piume (foto Luca Rotelli).

Fig. 10 e 11 – Particolari di piume di fagiano di monte (maschio a sinistra e femmina a destra). Le piume dei tetraonidi, per meglio proteggere queste specie dal freddo, sono dotate di una ulteriore piuma, detta vessillo secondario o iporachide. Essa si innesta alla base del rachide e la sua funzione principale è quella di contribuire a racchiudere aria tra le piume, formando delle sorte di sacche d’aria, in grado di costituire uno strato isolante tutto intorno al corpo dell’uccello (foto Luca Rotelli).

  • le zampe sono completamente piumate, fino alle dita nel caso della pernice bianca (Fig. 12), mentre nelle altre tre specie esse sono munite di scagliette cornee (pettini) disposte su entrambi i lati (Fig. 13), in modo da aumentare la superficie plantare per non sprofondare eccessivamente nella neve. Queste caratteristiche permettono loro di scavare più facilmente i buchi nella neve e per le specie arboricole2 di avere una presa migliore quando sono appollaiate sui rami;

2 Gallo cedrone, fagiano di monte e francolino d’inverno trascorrono parte del tempo appollaiati sulle piante, cosa che invece non fa mai la pernice bianca. Anche in pieno inverno infatti essa ricerca il suo nutrimento a terra, ispezionando le zone tenute libere dalla neve, grazie all’azione del vento (Fig. 14 e 15).

Fig. 12 – Trattandosi di una specie che vive perennemente in ambienti assai ricchi di neve, nella pernice bianca le zampe sono completamente piumate fino alle dita: da un lato, ciò le permette di isolarsi molto bene dal freddo, dall’altro di aumentare la superficie plantare per ridurre lo sprofondamento nella neve (foto Luca Rotelli).

Fig. 13 – Nelle altre tre specie di tetraonidi le zampe sono piumate fino ai tarsi, mentre le dita sono munite di scagliette cornee disposte su entrambi i lati. Esse hanno lo scopo di aumentare la superficie plantare (come fa l’uomo quando mette le racchette da neve o gli sci) per non sprofondare eccessivamente nella neve (foto Luca Rotelli).

Fig. 14 – Traccia di una pernice bianca alla ricerca di nutrimento in ambiente totalmente innevato. Per questo tetraonide, che vive perennemente al di sopra del limite superiore del bosco e che non è solito appollaiarsi sulle piante (anche se eccezionalmente può accadere), alimentarsi in inverno sul terreno completamente innevato è una sfida quotidiana che la costringe a compiere lunghi spostamenti a piedi per trovare zone libere dalla neve. Per questo motivo si alimenta spesso in prossimità di creste e crinali, dove il terreno è tenuto libero dal vento (foto Luca Rotelli).

Fig. 15 – Tracce di alcune pernici bianche che si sono alimentate su di un cespuglio di rododendro ancora raggiungibile sopra la coltre nevosa. Di questa rosacea vengono preferite soprattutto le gemme e in minor misura le foglie (foto Luca Rotelli).

  • l’apparato digerente è molto sviluppato e particolarmente efficiente per consentire la digestione di vegetali molto coriacei e ricchi di fibre grezze. Inizialmente il cibo ingerito viene immagazzinato in una dilatazione permanente dell’esofago, a forma di sacca ovoide, che prende il nome di ingluvie o gozzo3 (Fig. 16). Da qui i vegetali mangiati, ma non ancora triturati, sempre attraverso l’esofago, raggiungono lo stomaco ghiandolare o proventriglio, dove il cibo si mescola con i succhi gastrici necessari alla digestione. Il nutrimento viene poi trasferito allo stomaco muscolare o ventriglio, dove hanno luogo i processi meccanici di sminuzzamento dei vegetali ingeriti. Il ventriglio è caratterizzato da una parete muscolare robusta e dalla presenza al suo interno di piccoli sassolini silicei o di quarzo, detti gastroliti o grit, che favoriscono la triturazione degli alimenti, permettendo così una migliore azione dei succhi gastrici: essi possono rappresentare anche l’80-90% in volume del contenuto totale del ventriglio. Mentre quindi nello stomaco ghiandolare avviene una digestione chimica degli alimenti, in quello muscolare si svolge in prevalenza una digestione meccanica. Nel punto in cui l’intestino tenue si inserisce nell’intestino crasso vi è l’innesto delle due appendici ciecali. Provviste di villi assorbenti nella parte iniziale e di una potente muscolatura liscia nella parte terminale, in esse il nutrimento rimane più a lungo che nelle altre parti dell’intestino. Nei ciechi avviene l’azione demolitrice del materiale più coriaceo e ricco di fibre grezze, grazie all’azione di una ricca flora batterica specializzata nella decomposizione della cellulosa e in parte della lignina. Il materiale che non viene deviato nelle appendici ciecali, attraverso l’intestino crasso, arriva alla cloaca e quindi espulso sotto forma di sterco secco: la quantità di sostanze vegetali non digerite è notevole ed è dovuto alla gran mole di cibo introdotto che non può essere completamente sottoposto all’elaborazione dei succhi gastrici e della flora intestinale. Il contenuto dell’intestino cieco, sotto forma di una massa molle e oleosa di colore scuro e assai odorosa, viene eliminato una volta al giorno, normalmente di prima mattina, al momento o subito dopo l’abbandono della cavità utilizzata per trascorrere la notte (Fig. 17).

3 L’ingluvie o gozzo non ha funzioni digestive, ma serve unicamente per immagazzinare in poco tempo il nutrimento necessario, riducendo al minimo indispensabile il periodo dedicato all’assunzione del cibo e di conseguenza l’esposizione ai predatori e alle avversità meteorologiche.

Fig. 16 – Apparato digerente di un fagiano di monte: a: esofago; b: ingluvie o gozzo; c: stomaco ghiandolare o proventriglio; d: stomaco muscolare o ventriglio; e: ansa duodenale; f: intestino tenue; g: appendici ciecali; h: intestino crasso e cloaca. In nessun’altra famiglia di uccelli, le appendici ciecali sono così sviluppate come in quella dei tetraonidi: esse sono importanti perché al loro interno avviene la digestione delle parti di vegetali ricche di fibre, per la presenza di cellulosa e lignina, di cui il nutrimento invernale è prevalentemente costituito: tali composti altrimenti non potrebbero essere utilizzati adeguatamente da questi uccelli (foto Niklaus Zbinden).

Fig. 17 – Cumulo di escrementi invernali prodotti da un fagiano di monte durante il periodo trascorso in una cavità nella neve. Per la produzione di un singolo escremento il fagiano di monte impiega circa 11 minuti. Contando il numero di escrementi è quindi possibile sapere con buona approssimazione quanto tempo ha trascorso nella cavità. La massa pastosa di colore verde oliva che si trova sulla cima del cumulo è il contenuto delle appendici ciecali che vengono liberate una volta al giorno, tipicamente alla mattina presto nel momento in cui la cavità viene abbandonata (foto Luca Rotelli).

Nei tetraonidi i ciechi rivestono un ruolo importantissimo nella digestione della fibra grezza (cellulosa) in inverno, permettendo loro di sopravvivere anche in condizioni estreme, quando il nutrimento disponibile è molto povero di proteine e zuccheri. In nessun’altra famiglia di uccelli essi sono così sviluppati: nel gallo cedrone in inverno la loro lunghezza è in media di 184 cm nei maschi e di 136 cm nelle femmine, costituendo circa l’80% della lunghezza del rimanente intestino. I ciechi sono percentualmente ancora più lunghi nel fagiano di monte e nel francolino di monte (90%), mentre nella pernice bianca raggiungono addirittura il 150% della lunghezza del resto dell’intestino. Per confronto nei fasianidi, come ad esempio la coturnice, questo rapporto raggiunge normalmente il 50%, con punte massime fino al 64%. La lunghezza delle appendici ciecali non è costante, ma varia in relazione all’età del soggetto, alla natura della sua dieta, alla stagione e in una certa misura dipende anche dalla severità del clima.
 

 

L’adattamento più importante dei tetraonidi per sopravvivere ai rigori dell’inverno è costituito dall’abilità di utilizzare alimenti vegetali di basso valore nutritivo, ma presenti in abbondanza, che possono essere recuperati con un investimento ridotto, sia in termini di tempo sia energetici. Questa attitudine a sua volta è resa possibile da un apparato digerente particolarmente sviluppato ed efficiente.

 

A causa della particolarità del sistema digerente, che è in grado di metabolizzare il contenuto del gozzo unicamente per due volte al giorno, insieme con l’estrema povertà di elementi nutritivi di cui il cibo è caratterizzato, un dispendio energetico eccessivo, come quello provocato da un involo improvviso, non può essere reintegrato con la nuova assunzione di nutrimento.
 

 

In pieno inverno, il mantenimento di una situazione energetica positiva può pertanto avvenire solamente trascorrendo nella più assoluta immobilità la maggiore parte delle 24 ore (fino all’80% nel gallo cedrone, oltre il 90% per il fagiano di monte, il francolino di monte e la pernice bianca).

 

I tetraonidi sono estremamente selettivi nella scelta del nutrimento. I principi che regolano la selezione dei vegetali ingeriti sono il contenuto in sostanze nutritive, la digeribilità e il rendimento nella raccolta. Ricordiamo a questo proposito, senza entrare nei particolari, come i tetraonidi in inverno, quando la coltre nevosa non è ancora continua, preferiscano le specie della famiglia delle ericacee. I germogli di mirtillo nero, così come le gemme e le foglie di rododendro, le bacche di mirtillo rosso e di ginepro costituiscono il nutrimento principale. Nel momento in cui la neve diventa via via più spessa, il fagiano di monte, il gallo cedrone e il francolino di monte sono costretti a nutrirsi sugli alberi (la pernice bianca anche in pieno inverno continua invece a ricercare il proprio nutrimento a terra). Come complemento alle ericacee, vengono allora ricercate le gemme di larice (di gran lunga preferito), le gemme del sorbo degli uccellatori, gli amenti maschili dell’ontano verde e gli aghi di abete bianco, di pino mugo (Fig. 18) e di pino cembro, mentre l’abete rosso, benché molto diffuso sull’arco alpino, non assume mai un ruolo molto importante nella dieta di questi uccelli. In generale, le piante di cui si nutrono i tetraonidi non vengono consumate in relazione alla loro disponibilità, ma piuttosto in funzione dell’energia trasferibile che esse offrono.

 

Tutti questi adattamenti permettono, da un lato, di economizzare al massimo le proprie energie e, dall’altro, di sfruttare al meglio le risorse alimentari presenti che, sebbene abbiano un valore nutritivo piuttosto basso, almeno sono disponibili in quantità sufficiente anche in pieno inverno. Perché tali strategie possano avere successo, è però necessario che questi uccelli non vengano disturbati. 

img00018

Fig. 18 – Maschio di gallo cedrone intento ad alimentarsi su di un pino mugo in pieno inverno. Si noti la “potatura” degli aghi già utilizzati, a sinistra della testa, evidentemente più corti rispetto agli altri (foto Luca Rotelli).

© Luca Rotelli

footer-tetraonidi