© Luca Rotelli

attività outdoor di terra

Scialpinismo

L’impatto di questa attività sulla fauna è molto diverso a seconda che venga praticato in salita o in discesa. Se la salita viene effettuata lungo determinati itinerari che vengono percorsi regolarmente, l’effetto sulla fauna può essere paragonato a quando un escursionista si muove lungo una strada o su un sentiero (Fig. 1). Durante la discesa invece gli sciatori si distribuiscono normalmente su una superficie molto più ampia, in quanto tipicamente ognuno utilizza un suo proprio percorso (Fig. 2). 

Fig. 1 – Lo scialpinismo, durante la fase di salita, a causa della lentezza con cui avviene l’ascesa, che consente agli animali di valutare con calma l’avvicinamento del potenziale pericolo, ha un impatto relativamente contenuto sulla fauna, a patto che il flusso dei praticanti venga incanalato lungo determinati itinerari (Photo credits: Archivio fotografico Palazzo Veneziano, foto di Paolo Meizinger).

 

Fig. 2 – Durante la fase di discesa, il potenziale disturbo provocato dagli scialpinisti viene amplificato su di una superficie molto vasta, in quanto ciascun sciatore ama lasciare la propria traccia nella neve ancora non sciata. Inoltre l’imprevedibilità del percorso scelto e la velocità con cui viene affrontato, fanno sì che la fauna non sia in grado di adattarsi a questa forma di disturbo. Per questo motivo è necessario individuare le zone importanti per lo svernamento della fauna, al fine di garantirne la loro tranquillità, evitando che vengano percorse (foto Luca Rotelli).

Inoltre l’avvicinamento dall’alto è generalmente sfavorevole per la fauna, a causa dell’effetto sorpresa, in grado di provocare delle reazioni violente negli animali. A ciò si deve poi aggiungere la velocità, un elemento a cui gli animali reagiscono di solito in modo particolarmente deciso. Poiché gli scialpinisti si muovono già di mattina presto, si può creare una sovrapposizione con l’attività mattutina dei tetraonidi e degli ungulati per la ricerca di nutrimento. Durante il periodo primaverile poi si verifica un potenziale disturbo all’attività riproduttiva dei tetraonidi.

 

Durante la fase di salita, l’impatto dello scialpinismo può essere ritenuto generalmente sopportabile per la fauna, a meno che gli itinerari non passino in aree particolarmente sensibili per gli animali (“Camosci e scialpinisti). Il problema maggiore di questa attività riguarda il numero di praticanti che negli ultimi anni è aumentato in modo esponenziale e il cui trend di crescita non accenna a ridursi: questo fa sì che il suo potenziale effetto negativo riguardi sempre più aree. A ciò si devono aggiungere le sempre più frequenti competizioni agonistiche di scialpinismo, con gli ulteriori problemi legati alla loro organizzazione (tracciatura degli itinerari, sicurezza, spettatori, ecc.). Rispetto a quando questa disciplina è apparsa, grazie allo sviluppo di materiali sempre più performanti, la differenza sta nel fatto che al giorno d’oggi è praticata per un periodo di tempo più lungo (dall’arrivo della prima neve in novembre fino in tarda primavera), mentre in passato aveva una connotazione esclusivamente primaverile.

 

Per questa attività outdoor, a differenze della maggior parte delle altre, per cui non esistono cifre precise, è possibile fare una disamina abbastanza attendibile della crescita del numero di praticanti nel corso degli ultimi venti anni. Secondo la stampa tedesca e austriaca il fenomeno dello scialpinismo è in continuo aumento ovunque. In un articolo apparso sul giornale on-line Tiroler Tageszeitung nel gennaio 2020 a firma di Anita Heubacher, si afferma che il numero degli scialpinisti in Germania nel corso degli ultimi 15 anni è triplicato. Attualmente, secondo il portavoce del DAV (Club Alpino Tedesco) Thomas Bucher, citato nell’articolo, almeno 600.000 tedeschi praticano lo scialpinismo: nel 2004 erano “appena” 200.000. La stima si basa sul sondaggio che il DAV compie ogni cinque anni tra i membri del proprio sodalizio. In Austria, secondo l’associazione “Verband Sportartikelerzeuger und Sportausrüster Österreichs” (VSSÖ) il numero di praticanti oggigiorno si aggirerebbe intorno ai 700.000, mentre nel 2014 erano 500.000. In Francia il numero degli scialpinisti, secondo un articolo del 2019 di Audrey Lungo, che riporta i dati della FFME (Fédération franҫaise de la montagne et de l’escalade), è passato da circa 100.000 nel 2000 agli attuali 200.000 (2019), mentre in Svizzera il loro numero è passato da 115.000 nel 2015 a 330.000 nel 2019. Per quanto riguarda l’Italia i numeri sono più incerti: secondo il sito di Sciare Magazine, il numero di scialpinisti è passato da 33.000 nell’inverno 2010-11 a circa 93.000 nel 2018-19, numeri che però sembrano essere largamente sottostimati. In un articolo del 2013 di Davide Marta, apparso sul sito www.dislivelli.eu e dal titolo “La nuova giovinezza dello scialpinismo” già allora si riteneva che il numero di praticanti potesse essere intorno ai 100.000, confutando la stima di 48.000 scialpinisti emersa in occasione della Fiera Skipass di Modena di quell’anno. Sulle Alpi esisterebbero quindi circa due milioni di scialpinisti. Se ognuno facesse anche solo dieci escursioni all’anno, ciò significherebbe venti milioni di itinerari scialpinisti a stagione.

 

Freeride o sci fuori pista

Per il freeride vale quanto già detto per la fase di discesa nello scialpinismo. Dal momento però che la salita vien fatta utilizzando gli impianti di risalita, ogni sciatore può compiere diverse discese nel corso della stessa giornata, amplificando così il disturbo: questo fa sì che nell’ambito dei comprensori sciistici, ampie aree di territorio vengano sciate in modo molto intenso al di fuori delle piste. Alla lunga c’è da attendersi che tali aree vengano abbandonate dalla fauna, in quanto eccessivamente disturbate (Fig. 3). Spesso questa attività viene effettuata in aree molto ripide e parzialmente rocciose che vengono utilizzate come aree di svernamento da camosci e stambecchi.

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Fig. 3 – Il freeride nell’ambito dei comprensori sciistici, non permette alla fauna di utilizzare vaste superfici di habitat. Se il disturbo si estende sulla totalità del dominio sciabile, la fauna non ha altra alternativa che abbandonare la zona. Non sempre però sono disponibili altri habitat con la stessa vocazionalità delle zone originarie. La conseguenza è la perdita di habitat e il regresso della popolazione (foto Luca Rotelli).

Escursionismo con racchette da neve

L’escursionismo con racchette da neve ha luogo prevalentemente al di fuori di itinerari marcati. Per questo motivo già poche persone, che si muovono separatamente l’una dall’altra in una certa zona, sono in grado di provocare un effetto negativo su di un’ampia superficie. Poiché questa attività si pratica in gran parte in bosco e al suo limitare superiore, si sovrappone in modo importante con l’ambiente dei tetraonidi (Fig. 4). E’ un’attività che viene praticata per molte ore al giorno e che quindi può esercitare un grave disturbo sugli animali. Inoltre un impatto particolarmente negativo è quello causato dalle escursioni notturne al chiaro di luna, il cui numero è in continuo aumento. Questa attività outdoor, il cui potenziale effetto di disturbo viene spesso sottovalutato, ha avuto uno sviluppo esponenziale nel corso degli ultimi decenni (Fig. 5). Mancano dati precisi a riguardo, ma si ritiene che sull’insieme dell’arco alpino ci possano essere alcuni milioni di praticanti. Le racchette da neve vengono spesso utilizzate anche per salire in quota da coloro che fanno freeride con lo snowboard, amplificando il disturbo fino alle quote più elevate.

Fig. 4 – Tracce di un maschio di gallo cedrone sulla destra, di un ciaspolatore al centro, e di uno scialpinista sulla sinistra. A chi la precedenza? Le attività outdoor vengono spesso praticate in ambienti dove vivono specie animali particolarmente sensibili e minacciate (foto Luca Rotelli).

 

Fig. 5 – L’escursionismo con racchette da neve ha cominciato a diventare un fenomeno di massa a partire dall’inizio degli anni 90. Si tratta di una attività che non ha bisogno di particolari capacità tecniche per essere svolta ed è quindi alla portata di un gran numero di persone. Dai suoi simpatizzanti viene spesso ignorato l’impatto reale che tale attività può avere sui delicati ambienti in cui viene praticata (foto Luca Rotelli). 

Sci di fondo
L’impatto causato da questa attività è assimilabile a quello di altre discipline che vengono esercitate lungo itinerari marcati, come strade e sentieri, che consentono di procedere in modo canalizzato (Fig. 6). Il disturbo è limitato ad un buffer ai due lati della traccia, a patto però che il percorso non venga abbandonato per inoltrarsi nel bosco lungo itinerari non marcati. Rispetto alle attività invernali sopra menzionate, ha un impatto ridotto sulla fauna. Tuttavia a seconda della densità dei tracciati e del loro sviluppo, il disturbo arrecato può essere diffuso su un’ampia superficie, interessando anche ambienti particolarmente sensibili. Nonostante questa disciplina sportiva sia sempre attuale, probabilmente il numero dei praticanti in futuro non aumenterà in modo considerevole, così come la rete dei tracciati: pertanto non c’è da attendersi un aumento del potenziale impatto sulla fauna, rispetto alla situazione attuale.

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Fig. 6 – Lo sci di fondo, venendo praticato lungo tracciati marcati, permette di incanalare i praticanti: ciò consente di limitare il disturbo ad una fascia di circa 50-100 m, su ciascuno dei due lati del percorso. E’ importante però che il tracciato non venga abbandonato per andare alla ricerca di percorsi alternativi. La fauna è in grado, in una certa misura, di adattarsi alle attività umane, a patto però che vengano praticate in forma prevedibile (foto Asiago.it). 

Escursionismo
Gli escursionisti possono esercitare un influsso sulla fauna all’interno di una fascia ai due lati di un sentiero o di un qualsivoglia itinerario: da quest’area di influenza gli animali si tengono di solito alla larga o sono particolarmente vigili. La superficie influenzata da questa attività è, in confronto ad altre, piuttosto contenuta, a patto che i turisti rimangano sui sentieri marcati (Fig. 7). La loro presenza può essere di grande disturbo per la fauna soprattutto alla mattina presto o alla sera. Questa attività, da un punto di vista della sua stagionalità, si manifesta soprattutto durante il periodo riproduttivo della fauna, che va dalla tarda primavera alla fine dell’estate, mentre di solito è meno praticata in inverno, anche se, a seguito della sempre più frequente mancanza di neve, un numero sempre maggiore di appassionati la pratica ormai anche durante la stagione invernale. L’escursionismo, anche se effettuato lungo itinerari tracciati può avere un impatto maggiore rispetto a quello che generalmente la gente crede: il grado di disturbo dipende principalmente dall’andamento, dalla densità e dalla distribuzione dei sentieri presenti in una determinata zona. Il problema poi è accentuato dalla presenza di quegli escursionisti che abbandonano gli itinerari contrassegnati (Fig. 8) e dalla presenza dei cani che li accompagnano, soprattutto se non tenuti al guinzaglio. Dal momento che sempre più strade e sentieri vengono aperti in ambienti naturali, le prime anche per motivi diversi da quelli della frequentazione turistica (strade forestali), in futuro c’è da attendersi un aumento del disturbo da parte di questa attività sulla fauna.

Fig. 7 – L’escursionismo consente di incanalare il flusso di praticanti in modo naturale. Quando il disturbo causato dalla presenza umana si presenta in modo prevedibile, la fauna è in grado di adattarsi (ma solo fino ad un certo punto). Tuttavia molto dipende dalla rete sentieristica presente in una determinata zona: se essa risulta essere troppo fitta, vaste porzioni di territorio vengono abbandonate dalla fauna o utilizzate soltanto nei periodi di assenza degli escursionisti (ore notturne) (foto Ivan Stocchetti).

 

Fig. 8 – Se gli escursionisti abbandonano i sentieri marcati, allora l’impatto di questa attività può essere paragonata a quello dello scialpinismo e dell’escursionismo con racchette da neve. E’ importante far comprendere alle persone l’importanza di frequentare la montagna in modo rispettoso e consapevole. Per questo motivo, l’informazione e la sensibilizzazione sono aspetti imprescindibili a cui non è più possibile rinunciare, se vogliamo veramente ridurre l’impatto delle attività che pratichiamo negli ambienti naturali (foto Luca Rotelli).

Arrampicata
La distribuzione altitudinale delle diverse forme di arrampicata si sovrappone con quella di alcune specie d’uccelli che nidificano su pareti rocciose (Fig. 9): a seconda della fascia altimetrica utilizzata per questa attività, le specie interessate possono essere diverse. Tra queste ricordiamo: l’aquila reale, il falco pellegrino, il gufo reale, il gipeto, la rondine montana, il picchio muraiolo, il gracchio e il corvo imperiale.

Fig. 9 – La distribuzione altitudinale delle diverse forme di arrampicata si sovrappone totalmente con quella di alcune specie di uccelli. La colorazione grigio scuro si riferisce alla distribuzione principale delle specie, quella grigio chiaro invece alla loro presenza sporadica (da Ingold, 2005).

Pareti molto frequentate, con un’elevata densità di vie, possono venire abbandonate dalle specie presenti e non venire più visitate. Oltre alla densità delle vie, anche la loro distribuzione rispetto alla superficie della parete non utilizzata può giocare un ruolo importante. Meno problematica dell’arrampicata sportiva è il sassismo che viene praticato in una fascia limitata alla base di una parete rocciosa. Per quanto riguarda le ferrate, il loro impatto è paragonabile a quello di altre attività canalizzate, in cui le persone rimangono su itinerari marcati. L’arrampicata sportiva e il sassismo si sovrappongono quasi completamente con l’intero periodo riproduttivo di diverse specie d’uccelli, mentre l’alpinismo e le ferrate vanno ad interferire per lo più con l’allevamento dei giovani (Fig. 10).

Fig. 10 – L’alpinismo, avendo il suo luogo d’elezione principalmente sopra una certa quota, può essere praticato quasi esclusivamente durante la stagione estiva. In questo modo interferisce solo parzialmente con il ciclo riproduttivo delle specie nidificanti in parete: quello dell’allevamento dei giovani (foto Robert Boesch).

L’impatto maggiore è causato dall’arrampicata sportiva in parete, mentre quello minore dal sassismo1. Nel caso dell’arrampicata sportiva, dell’alpinismo e delle ferrate esso dipende in gran parte dalla densità e dalla distribuzione delle vie. Per tutti i tipi di arrampicata l’accesso alle vie può costituire un importante problema, in quanto il tragitto da percorrere può creare disturbo a diverse specie animali durante il periodo riproduttivo o in inverno, in quest’ultimo caso per il raggiungimento delle cascate di ghiaccio. 

1 Il sassismo è una forma di arrampicata sportiva, ma in seguito alle peculiarità dei luoghi dove viene praticato, si ritiene opportuno in questo contesto tenerlo separato dall’arrampicata.

Mountain bike

Se questa attività viene svolta sulle strade forestali o lungo itinerari appositamente tracciati, il suo impatto sulla fauna può essere assimilato a quello provocato dall’escursionismo, almeno nella fase di salita (Fig. 11). Durante la discesa, invece, a causa delle velocità raggiunte e del rumore ad essa associato, il disturbo provocato è decisamente maggiore. Problematiche sono le discese al di fuori degli itinerari marcati, in quanto gli animali vengono sorpresi all’improvviso, provocando fughe violente, come accade anche con lo scialpinismo e con il freeride. Un ulteriore problema è dato dal fatto che i biker spesso si attardano fino alle ultime luci della sera, andando ad interferire con attività importanti della fauna, come ad esempio la ricerca di nutrimento. Questa attività, da un punto di vista della sua stagionalità, si manifesta soprattutto durante il periodo riproduttivo della fauna, che va dalla tarda primavera alla fine dell’estate. 

Fig. 11 – Dopo lo scialpinismo e l’escursionismo con racchette da neve, la mountain bike a pedalata muscolare è stata la terza attività outdoor ad avere un aumento esponenziale di praticanti nel giro di pochi anni. Come per le due precedenti, anche in questo caso ci si è trovati impreparati ad affrontare il possibile impatto sugli ambienti naturali frequentati dagli amanti di questa disciplina (foto Luca Rotelli).

Se questa attività viene praticata rimanendo sulle strade e sugli itinerari predisposti, il suo impatto si limita ad una fascia su entrambi i lati del tracciato. Come già menzionato per l’escursionismo, il suo impatto dipende però in gran parte dall’andamento, dalla densità e dalla distribuzione dei tracciati presenti in una determinata area. Per coloro che si muovono in discesa al di fuori degli itinerari è comunque da attendersi un impatto maggiore rispetto a quello provocato da un escursionista che fa la stessa cosa. Rispetto a quando questa disciplina è apparsa, la grossa differenza sta nel fatto che attualmente è praticata un po’ in tutte le stagioni e che le quote raggiunte e i dislivelli compiuti sono superiori, grazie alla comparsa delle e-bike, che hanno aumentato sensibilmente la prestazione degli appassionati (Fig. 12). Con l’avvento delle fat bike, biciclette elettriche dotate di copertoni molto larghi, che ne riducono lo sprofondamento quando il terreno è inconsistente, oggi è possibile utilizzare la bicicletta anche in pieno inverno, su strade innevate anche poco battute (Fig. 13).

Fig. 12 – Con l’avvento delle e-bike, il numero di praticanti, così come il loro raggio d’azione, è aumentato in modo sostanziale. Attualmente, la stragrande maggioranza dei biker in montagna, utilizza e-bike. Grazie alla pedalata assistita, i chilometri percorsi, il dislivello compiuto e la durata delle escursioni hanno avuto un incremento notevole, permettendo di raggiungere località che fino a pochi anni fa erano inarrivabili: ciò ha avuto come conseguenza un’amplificazione dell’area interessata dal disturbo causato da questa attività (foto TirolTourismResearch).

Fig. 13 – Fat bike elettrica su una strada forestale con neve poco battuta. Senza la pedalata assistita, questa disciplina difficilmente avrebbe lo stesso gradimento di cui gode attualmente (foto Luca Rotelli).

Orienteering

L’orientamento è una disciplina sportiva, nata all’inizio del XX secolo nei paesi scandinavi. Viene chiamato anche lo sport dei boschi, perché il bosco rappresenta l’ambiente elettivo dove viene praticato. L’associazione internazionale di orienteering (IOF) riconosce diverse discipline: corsa d’orientamento, lo sci d’orientamento, la mountain bike d’orientamento e l’orientamento di precisione. Questa attività outdoor è caratterizzata dall’avere molti partecipanti su di un’ampia superficie nello stesso momento. Soprattutto al passaggio dei primi corridori è possibile che gli animali vengano sorpresi e costretti a fughe violente, con la possibilità che si verifichino incidenti (collisioni contro recinzioni e auto). Nel caso di uccelli che nidificano a terra è possibile incorrere nella perdita dei loro nidi.

 

Per i mammiferi, durante il periodo riproduttivo, e per gli uccelli che nidificano sul terreno, l’orienteering può costituire un forte disturbo anche se limitato nel tempo. In considerazione del fatto che le gare di orienteering si tengono nella stessa località solo di tanto in tanto, il suo impatto può essere considerato limitato nel tempo. Tuttavia, nelle aree dove vengono condotti gli allenamenti, è chiaro che il disturbo causato dalla presenza costante di corridori che si muovono ovunque, può invece rappresentare un grave problema per la fauna che vive in questi luoghi (Fig. 14). Un ulteriore problema è inoltre causato dall’aumento delle competizioni sportive di questo genere in inverno, praticate con l’ausilio delle racchette da neve.

Fig. 14 – L’orienteering viene spesso praticato prevalentemente nel bosco, in ambienti dove vive anche il gallo cedrone. Questa attività quando condotta in primavera ed estate, durante il periodo riproduttivo e dell’allevamento dei giovani, può costituire un disturbo considerevole per questo tetraonide. Le frecce indicano la piuma di un maschio di gallo cedrone trovata in prossimità di un punto di controllo, chiamato lanterna (foto Giovanni Pelucchi).

Raccolta di funghi e bacche

I raccoglitori di funghi, muovendosi in ordine sparso nei boschi (Fig. 15), e quelli di mirtilli frequentando il limite superiore del bosco, hanno generalmente un impatto maggiore rispetto alle persone che stanno sugli itinerari marcati. Nel caso dei cercatori di funghi poi, che perlustrano ampie superfici durante la loro attività, bisogna fare i conti con un disturbo generalizzato su vaste aree. Di contro i cercatori di bacche solitamente si muovono in spazi più limitati, rimanendo a lungo nello stesso posto. Dal momento comunque che in una stessa area si possono avere concentrazioni elevate di raccoglitori, l’impatto che momentaneamente si può avere in una determinata zona può essere ugualmente importante (negativa soprattutto per il fagiano di monte). La raccolta dei funghi può essere estremamente negativa soprattutto in quelle zone dove sono presenti i tetraonidi forestali, francolino di monte e gallo cedrone, in quanto si sovrappone con le fasi delicate dell’allevamento dei giovani, quando non sono ancora in grado di volare bene e di regolare in modo autonomo la loro temperatura corporea (per questo vengono spesso riscaldati dalla femmine in caso di maltempo): in questo periodo, ogni disturbo in grado di provocare la separazione dei giovani dalla loro madre, può avere ripercussioni fatali sulla loro sopravvivenza, soprattutto in caso di basse temperature e terreno bagnato.

 

La raccolta dei funghi è un’attività in grado di causare un grosso disturbo alla fauna, soprattutto quando viene esercitata già all’inizio dell’estate. La raccolta di mirtilli neri e rossi, ma anche di lamponi, può invece essere ritenuta nel complesso meno impattante.

Fig. 15 – La raccolta di funghi, a causa delle modalità con cui viene praticata, al di fuori di itinerari marcati, e dell’elevato numero di praticanti, è un’attività in grado di provocare un’importante azione di disturbo su ampie superfici, soprattutto durante il periodo estivo (fino a circa la metà di agosto), quando molte specie animali sono impegnate nell’allevamento dei giovani: tra queste il gallo cedrone, il francolino di monte, il capriolo e il cervo (foto Giovanni Pelucchi). 

Escursioni con il cane

La presenza del cane durante le nostre escursioni, soprattutto quando viene lasciato correre liberamente, aumenta la distanza di fuga degli animali selvatici (Fig. 16): quindi aumenta di pari passo la superficie sulla quale si manifesta il disturbo. Cani non tenuti al guinzaglio possono inoltre rincorrere le specie animali presenti e stanare uccelli che nidificano sul terreno o in compagnia dei loro piccoli, arrivando in alcuni casi ad abboccarli. Poiché il cane attualmente ci accompagna in molte attività all’aperto, come per esempio l’escursionismo, la raccolta dei funghi, l’escursionismo con racchette da neve e addirittura lo scialpinismo, c’è da aspettarsi un aumento degli effetti negativi sulla fauna.

Fig. 16 – Capita raramente che i cani siano tenuti al guinzaglio durante le escursioni in montagna. La maggior parte della gente, infatti, non ha la percezione che negli ambienti naturali frequentati per la pratica della propria attività ricreativo-sportiva, possano vivere anche animali selvatici. La presenza di cani liberi non fa altro che acuire la paura della fauna nei confronti della presenza umana (foto Luca Rotelli).

Raccolta di stanghe di cervo

A partire dal mese di febbraio e fino ad aprile i cervi maschi perdono i loro palchi (Fig. 17). Non ancora caduti per terra, comincia la loro ricerca da parte dei molti appassionati, non solo cacciatori, il cui numero è cresciuto in modo importante nel corso degli ultimi anni. In questo periodo dell’anno i cervi sono ancora nelle zone di svernamento, in un momento in cui attingono alle ultime riserve di grasso ancora disponibili: si trovano quindi in una fase estremamente delicata ed è molto importante che non vengano disturbati. Poiché i cercatori di stanghe si muovono sul terreno fuori dai sentieri, in modo del tutto imprevedibile, come accade anche per i cercatori di funghi, questa attività può causare un disturbo importante alla fauna.

Fig. 17 – La ricerca delle stanghe di cervo in primavera è diventata un’attività esercitata da un numero sempre crescente di appassionati, non solo cacciatori. La loro raccolta comincia già durante il mese di febbraio, quando i maschi iniziano a perderle, e si protrae fino a maggio: alla fine dell’inverno, i cervi ormai esausti da mesi di privazioni, dovrebbero però essere lasciati tranquilli nelle loro aree di svernamento (foto Luca Rotelli).

Il contenuto di questa sezione è tratto in parte dal libro di Paul Ingold “Freizeitaktivitäten im Lebensraum der Alpentiere” (2005).

© Luca Rotelli